La Triade Capitolina

La Triade Capitolina è un'inestimabile opera in marmo lunense che proviene dal Parco archeologico-naturalistico dell'Inviolata, nel comune di Guidonia Montecelio, in un' area dove è stata localizzata una villa romana di circa diecimila metri quadri.
Proprio qui, nel 1992, fu rinvenuta questa prestigiosa statua, trafugata da tre tombaroli nel corso di uno scavo clandestino e ritrovata solo nel dicembre del 1994 dai carabinieri del Gruppo tutela patrimonio artistico. Da allora è stata conservata per molti anni nel Museo Archeologico di Palestrina finché nel 2012 è stata restituita al Comune di Guidonia-Montecelio per essere esposta nel Museo Archeologico Rodolfo Lanciani.


Ingrandisce foto La triade capitolina

L'operazione condotta dai carabinieri, durata quasi due anni, è stata esemplare. La statua infatti, dopo il trafugamento, fu venduta ad un antiquario svizzero che era in procinto di venderla ad un collezionista americano. L'intervento dei Carabinieri però riuscì a bloccare ogni trattativa, poiché essi avevano acquisito, nel corso delle numerose perquisizioni effettuate, l'unico frammento della scultura che era rimasto in Italia: una parte dell'avambraccio destro di Giunone. In tal modo veniva dimostrata inequivocabilmente la provenienza dall'Italia della Triade, con il risultato di congelare il mercato internazionale dell'illecito e favorire il recupero della scultura, avvenuto nei pressi del Passo dello Stelvio .

I carabinieri sono inoltre riusciti ad individuare il luogo preciso, all'interno della villa ro0mana, dove fu effettuato lo scavo clandestino. Il rinvenimento sarebbe avvenuto all'interno di un criptoportico dove forse nell'antichità era stata occultata, per motivi ignoti. Molto probabilmente la sua collocazione originaria era nel Larario della villa, dove rappresentava le divinità tutelari del proprietario.
Lo scrittore Valerio Massimo Manfredi, nel suo romanzo giallo "Gli dei dell'impero", così ha immaginato il momento della scoperta: "Apparve prima una testa, al centro. Una testa virile con una cascata di riccioli fluenti, una barba maestosa che incorniciava un volto severo e imponente, poi un'altra, coperta da un elmo corinzio che sovrastava il volto duro eppure delicato di una vergine guerriera. Da ultimo apparvero le fattezze solenni, regali ed al tempo stesso soavi di una sposa divina, assisa a fianco degli altri personaggi".

Chiesa di San Michele Arcangelo
Ingrandisce foto Ex Convento di S.Michele - Sede
del Museo Archeologico Rodolfo Lanciani

La scultura, che misura 60 centimetri per 80 per 120, rappresenta le tre divinità protettrici di Roma, Giove, Giunone e Minerva, assise su un trono cerimoniale, con ai piedi i loro animali sacri l'aquila (Giove), il pavone (Giunone) e la civetta (Minerva).
Giove, al centro del trio, stringe lo scettro nella mano sinistra (mancante) ed un fascio di fulmini nella destra. Seduta alla sua sinistra è raffigurata, Giunone velata, con diadema, scettro nella sinistra e "patera" (mancante) nella destra. Minerva, a destra di Giove, ha in testa un elmo corinzio e un'asta retta dalla mano sinistra. È priva del braccio destro, che forse era sollevato per sostenere l'elmo.

Dietro le tre teste ci dovevano essere tre piccole Vittorie alate nell'atto di incoronare le divinità e recanti ognuna una corona: quella di Giove è di quercia; l'altra di Giunone di petali di rosa (l'unica ben conservata) mentre quella di Minerva di alloro.

Il gruppo scultoreo è pressoché intatto ma oltre a questo la preziosità dell'oggetto deriva dal fatto che è l'unica scultura pervenutaci che raffigura la triade capitolina e che con ogni probabilità si rifà alle tre grandi sculture di Giove, Giunone e Minerva che si trovavano nel tempio di Giove Capitolino sul Campidoglio. Fino al suo ritrovamento infatti l'iconografia della Triade, che sembra suggerire un ruolo di pari dignità fra le divinità (elemento che rappresenta la più rilevante innovazione di questo gruppo) era nota solo da riproduzioni su alcune monete e medaglioni del periodo che va da Adriano fino ad Antonino Pio.
Quanto alla datazione, l'opera si colloca in età tardo-antonina ( 188 - 217 d.C.), epoca dell' imperatore romano Caracalla (Marcus Aurelius Antoninus).

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