1848: i Gesuiti sono cacciati da Tivoli

S.Ignazio di Loyola (1491-1556) è il fondatore della Compagnia di Gesù. Recatosi a studiare all’Università di Parigi (1529), raccolse intorno a sé, primo nucleo della futura Compagnia di Gesù, sei compagni tra cui il Lainez, il Salmeron, Francesco Saverio. Insieme ad essi (1534) pronunciò i voti di castità, povertà e promise di recarsi in Terra Santa a convertire gli infedeli (a causa dello scoppio della guerra tra Turchi e Veneziani non poterono assolvere tale ultima promessa). Sacerdote dal 1537, ottenne il 3 settembre 1539 nella Rocca Pia a Tivoli l’approvazione del papa Paolo III che riconobbe la Regola della Compagnia di Gesù con la bolla REGIMINI MILITANTIS (1540).
L’8 settembre 1549 i Gesuiti si insediarono a Tivoli presso la chiesa di S.Maria del Passo ove si dedicarono all’istruzione ed educazione dei giovani tiburtini.
I Gesuiti raggiunsero in breve tempo nel mondo potere e ricchezza e, poiché l’istruzione era nelle loro mani, la loro influenza aumentava quotidianamente anche in campo politico esercitando pressione presso le varie corti. Proprio per paura del loro smisurato potere il pontefice Clemente XIV nel 1773 con la bolla DOMINUS AC REDEMPTOR soppresse l’ordine che a quel tempo era costituito da ca 24.000 religiosi divisi in 271 missioni e ben 600 collegi.
A Tivoli tuttavia il legame della città con i Gesuiti fu sempre molto stretto tanto che rimasero come semplici sacerdoti continuando a dedicarsi all'educazione.

Rocca Pia
Ingrandisce foto Rocca Pia

Pio VII nel 1814 ripristinò la Compagnia che però fu osteggiata pochi anni più tardi. I gesuiti furono messi al bando e costretti all'esilio durante i moti "risorgimentali" del 1848, in seguito soprattutto ai corrosivi pamphlet del filosofo e scrittore politico torinese Vincenzo Gioberti (1801-1852), che li identificava come i peggiori nemici da abbattere per il "rinnovamento politico" dell'Italia.
Anche a Tivoli i Gesuiti furono cacciati nel marzo del 1848 per volontà degli insorti (per lo più ex loro alunni). La maggior parte dei Tiburtini erano tuttavia contraria a tale cacciata essendo questi gli unici educatori (grazie a loro vi era l'unico Ginnasio della città) per cui molti tentarono di opporsi alla decisione di espellerli.
I Magistrati del Comune pensarono che la via d'uscita fosse la stessa degli anni passati: i Gesuiti avrebbero continuato la loro opera nei panni di semplici sacerdoti.

Tale proposta però non venne accettata dai loro contestaori che il 1 aprile, durante un incontro con il Vescovo, ribadirono la volontà di mandarli via chiedendo altresì che il giorno successivo (domenica 2 aprile) gli fosse impedito di celebrare messa. Il Vescovo accettò le loro richieste ma quando il popolo tiburtino non vide la celebrazione della santa messa nella chiesa dei Gesuiti iniziò a lamentarsi. Il risultato fu che si rischiò di arrivare alle mani tra le due opposte fazioni (pro e contro i Gesuiti); così molti dragoni furono inviati da Roma a Tivoli per riportare l’ordine pubblico. A Brescia, nel museo del Risorgimento, è conservato un manifesto inerente la fuga precipitosa dei Gesuiti da Tivoli; il manifesto palesemente inneggia alla vittoria sui Gesuiti. Si deve invece dire che il clero tiburtino si schierò a favore della Compagnia chiedendo clemenza al Gonfaloniere della città come dimostra una lettera autografa del 6 aprile 1848 firmata da tutti i sacerdoti di Tivoli.
Oltre al predetto manifesto ci è pervenuto un altro documento storico di grande interesse che permette di fare luce su questo episodio. Si tratta di una missiva autografa del 2 aprile 1848 del Rettore dei Gesuiti di Tivoli, Padre Francesco Maporelli, indirizzata al Gonfaloniere della città.

S. Ignazio da Loyola
Ingrandisce foto S.Ignazio da Loyola

Il Maporelli (che aveva ricevuto l’ordine di lasciare con i suoi Tivoli per evitare che la popolazione si abbandonasse a tumulti) scrive che, in assenza del Gonfaloniere, si era rivolto al suo vice, sig. Antonio Calandi, ed insieme avevano preso la seguente decisione. I Gesuiti avrebbero deposto i loro abiti e li avrebbero distribuiti nelle case dei tanti tiburtini che si erano offerti;nell’attesa dell’arrivo del Gonfaloniere, il Rettore con i suoi sarebbe rimasto “in custodia del Collegio e specialmente de’ Convittori i quali, come alle mie affidati, io non posso rimettere ciò alcuno senz’ordine espresso de’ Genitori”. Nella lettera poi il Rettore domanda al Gonfaloniere cosa deve fare: lasciare Tivoli, come gli è stato ordinato, o continuare, pur avendo deposto l’abito, ad assistere i Convittori. Chiede inoltre delucidazioni sulla consegna del Collegio, del Convitto e dei loro beni. Conclude dicendo che, per evitare tumulti, è pronto a fare ciò che il Gonfaloniere ed il Vescovo decideranno.

Alla fine i Gesuiti lasciarono la città. I primi giorni maggio, pregati dal Magistrato, con il benestare del Vescovo, le scuole del collegio furono affidate a Padre Giuseppe da Roma (francescano, istruttore di teologia), a Padre maestro Giacinto Marchi dei predicatori (istruttore di filosofia), a Padre Fulgenzio Dabene (cappuccino, istruttore di retorica e umanità), al Canonico D. Giovanni Potini (istruttore di "grammatica superiore"), al sacerdote D. Gaetano Picconi (istruttore di "grammatica inferiore" che già aveva collaborato con i Gesuiti). La scuola elementare fu invece soppressa, ritenendo che a tal fine le "scuole cristiane" fossero sufficienti.

L'esilio dei Gesuiti durò però poco. L'8 settembre 1849 il popolo tiburtino scrisse una lettera al Padre Provinciale della Compagnia, Pasquale Combi, con preghiera di accettare le loro scuse e tornare a Tivoli. Il Padre Provinciale accettò le scuse ma pose, come condizione per il rientro, che fossero restituiti alla Compagnia tutti i possedimenti che avevano prima della cacciata. Il Santo Padre, con lettera del 13 ottobre, acconsentì al ritorno dei Gesuiti a Tivoli.

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