Le donne di Anticoli e di Saracinesco furono immortalate in quadri stupendi: costoro si recavano di buon mattino a Roma in Via Margutta dove per lo più i pittori avevano i propri studi per posare. Le modelle posavano anche in strada per gli artisti più squattrinati che non avevano un tetto ove dipingere; tra di loro si creava un rapporto di forte e reciproco aiuto in cui rientravano anche i giovani usati come “modelli”. D’altra parte già dal Rinascimento la bellezza femminile dei su citati paesi era al servizio dell’arte.
Interessante a questo proposito è il Museo del folklore in Piazza S.Egidio a Roma; esso è situato in Trastevere, il quartiere dove nacque l’artista che immortalò più di tutti i personaggi locali in costume: Bartolomeo Pinelli.


Ingrandisce foto Ferrari - costume di Cervara

Nel magnifico dipinto di Hebert, “Les Cervaroles” (le portatrici di acqua di Cervara), possiamo ammirare quello che era per antonomasia il costume della Valle dell’Aniene.
Ma vediamo in particolare come esso era fatto. Due erano gli elementi caratteristici del costume laziale: le calzature (ciocie) ed il copricapo (panetta o cartonella).

Le prime derivavano nientemeno che dalle calzature usate dalle genti antiche italiche; erano in cuoio o in pelle di capretto e venivano allacciate tramite dei lunghi lacci intrecciati sul piede e sulla gamba o per mezzo di una serie laterale di bottoni.
Il secondo era un accessorio necessario per sottolineare il colore corvino dei capelli e lo sguardo ammaliante di due occhi che si stagliavano sotto due splendide sopracciglia nere. In genere il tessuto usato era il lino o il cotone, aveva una forma rettangolare, veniva inamidato e fissato sulla sommità del capo grazie a degli spilloni.


Ingrandisce foto Ferrari - costume di Ciciliano

Un indumento “intimo” lasciato a vista era la Camiciola (anch’essa di lino o di cotone) munita di un’ampia scollatura. Il busto della donna era invece avvolto dal Corzé o Vustu (busto); in genere era in damasco o in broccato foderato ed era allacciato ai lati tramite degli occhielli in cui venivano fatti passare i due nastri che dovevano chiuderlo.

Della stessa stoffa del Corzé erano le Maniche che però non arrivavano fino alla spalla ma si fermavano alla stessa altezza del Corzé; dei nastri colorati ne guarnivano l’orlo. Il bacino e le gambe erano invece coperte dal Varneju o gonna pieghettata terminante al bordo con un colore diverso; era tenuta stretta in vita per mezzo di una stringa di seta. Sulla veste veniva messo lo Zinale, un grembiule arricciato in vita in tessuto leggero.
I gioielli delle popolane di Tivoli e della Valle d’Aniene erano collane (a più fili) di corallo rosso a grani martellati, in genere a gradazione, e gli orecchini dello stesso materiale fatti “a navicella” ove, nella parte inferiore, tramite un foro era appeso il pendete in corallo di forma allungata o a pera e sfaccettato.

<< Indietro

Nei dintorni

Approfondimenti

    Le guide di Tibursuperbum

    Con il patrocinio del Comune di Tivoli, Assessorato al Turismo

    Patrocinio Comune di Tivoli

    Assessorato al Turismo