Gli schiavi a Roma

Con tutte le guerre di conquista che Roma intraprese è chiaro che ebbe a disposizione un numero enorme di prigionieri di guerra (la 2° guerra punica e la sottomissione della Macedonia da sole misero a sua disposizione circa 200.000 uomini che vennero naturalmente schiavizzati). Il prezzo di uno schiavo era molto basso essendocene molti sul mercato; erano molto richiesti perché potevano essere sfruttati dal padrone a proprio piacimento e non dovevano fare il servizio militare come accadeva per gli uomini liberi. In linea di massima erano utilizzati per farli lavorare nei latifondi costituiti sull'agro pubblico a coltura estensiva. Quelli più istruiti invece, soprattutto se provenienti dalla Grecia, erano utilizzati come precettori nell'istruzione dei figli del padrone (a Roma non c'era la scuola pubblica) o come domestici, tonsor ed ornatrix (barbiere e pettinatrice); i più prestanti finivano nelle scuole per gladiatori. Nel 136 a.C. in Sicilia si verificò una rivolta servile, capeggiata da uno schiavo proveniente dalla Siria di nome Eunoos. Roma riuscì a stento a soffocarla.


Ingrandisce foto Affresco di una Villa romana

Un'altra più grave guerra servile scoppiò nel 73 a.C. in Italia: Spartaco, uno schiavo trace, capeggiò una rivolta dei gladiatori della scuola di Capua a cui si unirono migliaia di servi fuggiti dai latifondi. La guerra fu lunga ma terminò con la sconfitta dei rivoltosi ad opera dei generali Crasso e Pompeo. Gli schiavi facevano parte della familia del padrone ma non come persone bensì come beni posseduti in cui rientravano anche gli animali e gli attrezzi da lavoro.

Chiaramente nella Roma arcaica il loro numero era molto esiguo: lavoravano nei campi insieme ai padroni (la società romana inizialmente era contadina). Con l'espandersi di Roma nel Mediterraneo come abbiamo detto il loro numero aumentò notevolmente e dalla schiavitù patriarcale si arrivò alla schiavitù sfruttata intensivamente. Le condizioni servili cambiavano a seconda se si apparteneva ad una familia rustica (in campagna presso la villa ed il latifondo) od ad una urbana (domus, cioè casa patrizia in città). Uno schiavo poteva essere comprato, venduto, torturato, ucciso, mutilato dal padrone che aveva su di lui potere assoluto; non si poteva sposare, i figli nati dal rapporto con altri schiavi o con individui liberi diventavano schiavi. Con il passare del tempo fu istituito il contubernium, ossia la possibilità accordata allo schiavo di farsi una famiglia di fatto con il beneplacito del padrone.


Ingrandisce foto Il Colosseo

Quanto al tipo di rapporto che si stabiliva tra un dominus (signore) e uno schiavo esso era molto vario. Un certo Vedio Pollione era solito buttare in pasto alle murene il proprio schiavo colpevole di qualche carenza. Molto spesso gli schiavi erano marchiati a fuoco sulla fronte: Fur (ladro), Kal (calunniatore), Fug (fuggitivo). Naturalmente gli schiavi odiavano i propri padroni salvo le dovute eccezioni ed erano pronti a vendicarsi se se ne presentava l'occasione.

C'erano chiaramente anche schiavi molto affezionati al padrone di cui si guadagnavano la fiducia arrivando a rivestire un ruolo economico importante. Il padrone in quest'ultimo caso poteva dar loro della pecunia (soldi) da investire nel commercio e in altre attività artigianali (in questo caso gli schiavi erano prestanome dietro cui si nascondevano i propri padroni che volevano arricchirsi anche con il commercio considerato non praticabile dal ceto superiore perché disdicevole). Lo schiavo che dirigeva una simile impresa commerciale versava gran parte dei guadagni al padrone ma tratteneva per sé una piccola quota annualmente. Anno dopo anno tali quote venivano accantonate ed alla fine lo schiavo era in grado di riscattare la propria libertà emancipandosi e quindi versando al padrone la somma corrispondente al proprio prezzo di mercato. Gli ex schiavi divenivano liberti.

Fu sotto la dinastia degli Antonini che si registrò il più alto numero di emancipazione servile. Nell'ultimo sec. della repubblica romana fu riconosciuto che anche gli schiavi avevano un'anima e per questo fu loro concesso di praticare riti religiosi. Un miglioramento delle condizioni degli schiavi si ebbe con la lex (legge) Pretonia con la quale si stabiliva che senza il permesso di un giudice un padrone non poteva dare alle belve il proprio schiavo. L'imperatore Claudio, della dinastia Giulio-Claudia; decretò l'emancipazione d'ufficio per gli schiavi malati abbandonati dai padroni. Domiziano, imperatore della dinastia Flavia, nell'83 vietò la castrazione degli schiavi; Adriano, della dinastia degli Antonini, ne vietò la vendita al lanista (dirigeva la scuola dei gladiatori) e l'uccisione senza il beneplacito del prefetto dei vigili. Al tempo di Antonino Pio il rapporto tra schiavi e padroni era notevolmente migliorato tanto che i primi vestivano come i secondi. Tornando alla condizione dei liberti si deve dire che essi non potevano subito accedere alle magistrature ed agli uffici; per tutta la vita restavano legati ai propri padroni a cui dovevano l'obseqium (rispetto filiale), prestazioni gratuite di servizi e pecuniarie. Solo dopo cinque anni dalla sua emancipazione (manumissio) presentata al pretore e iscritta sul registro dei censori o eseguita per clausola testamentaria, il liberto diveniva cittadino romano ma i suoi discendenti potevano accedere ai diritti politici completi solo alla terza generazione. Col tempo il rituale dell'emancipazione divenne più semplice: bastarono semplicemente una dichiarazione verbale davanti a testimoni o una lettera (in entrambi i casi del padrone).

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