La medicina e la chirurgia nel Medioevo

Il Medioevo, considerato per molto tempo un periodo "buio" rispetto alla civiltà greco-romana e a quella rinascimentale, è stato rivalutato perché ha dato anch'esso un apporto positivo in molti campi tra cui la medicina. Infatti se la medicina medievale è stata a lungo e a ragione considerata ascientifica poiché era il risultato di magia e superstizione soprattutto nell'Alto Medioevo, è innegabile che è stata anche all'origine di svariate e utili innovazioni tra cui: l'anestesia. Come si otteneva? Si impregnava una spugna con anestetici quali l'oppio, la belladonna, la mandragora, la cicuta e si poneva sotto il naso del malato, che, annusandola, perdeva i sensi. Poiché però non si poteva controllare la quantità dell'anestetico respirato, spesso accadeva che il paziente, finito l'intervento, non riprendesse più coscienza.
È tuttavia innegabile la positività dell'anestesia che permetteva di eliminare i tremendi dolori subiti dal paziente sottoposto ad operazioni sia semplici che complicate.
Tuttavia bisogna ricordare che nell'Alto Medioevo "campare" non era molto facile: la durata della vita media era davvero molto breve; la maggior parte delle donne incinte moriva di parto; i bambini difficilmente giungevano a cinque anni d'età vista l'altissima mortalità infantile; gli uomini perivano nel corso delle continue guerre tra feudatari o perivano in incidenti vari. Si moriva perché l'alimentazione era particolarmente povera (cereali e legumi) e l'igiene collettiva e individuale era molto precaria (fognature inefficienti e carente igiene personale).

Ponte di S.Francesco a Subiaco
Ingrandisce foto Ponte di S.Francesco a Subiaco

La scarsezza di cibo e quindi la debilitazione, unite alla predetta mancanza di misure igieniche, favorivano il diffondersi di epidemie che, unite a infezioni più o meno croniche, mietevano un gran numero di vittime. L'ignoranza generale non faceva salvi neppure i medici che, presi dalle comuni dicerie secondo cui le malattie erano la conseguenza di un veneficio, guardavano sospettosi il malato tenendolo a debita distanza e avvicinandolo solo dopo aver compiuto i debiti rituali: accensioni di candele, manciate a iosa di erbe aromatiche sul fuoco, posizionamento di un'arancia secca (farcita di erbe aromatiche) sul proprio naso onde evitare di respirare i malefici effluvi del malato.
Dovevano essere proprio buffi quei dottori così conciati!

E che dire poi di quelli che utilizzavano un altro metodo (a dire il vero anch'esso molto originale e strano) per impedire di prendersi una malattia?
Ebbene trascinavano i poveri ammalati nelle fogne e lì li visitavano essendo convinti che i nauseabondi odori fognari tenessero lontano i morbi. Alcuni curavano imponendo agli ammalati amuleti di ogni sorta.
Era diffuso tuttavia questo convincimento: se Dio aveva deciso di riprendersi la vita di questo o quell'ammalato, il medico non poteva e doveva opporsi alle Sue volontà. Perseverare a curare era quindi sinonimo di peccare. Così anche il diffondersi delle epidemie era visto ed accettato con rassegnazione come mandate da Dio essendo conseguenza del peccato originale di Adamo ed Eva. Forse è da ricercare proprio qui l'origine dell'accettazione cristiana della sofferenza senza ribellarsi. L'imbarbarimento era quindi tangibile. Un bel passo indietro non c'è che dire rispetto all'ormai lontanissima concezione di Ippocrate (V-IV sec. a.C.) che considerava le malattie non attribuibili a cause e volontà soprannaturali.


Ingrandisce foto Rocca Pia di Tivoli

Il medico dell'Alto Medioevo doveva quindi assistere l'ammalato senza opporsi alla volontà divina. Chiaramente non tutti i medici erano così; ci furono, anche se pochi, illustri personalità che si distinsero (VII sec). Furono ad un certo punto soprattutto i monaci ad occuparsi dei malati poiché si credeva che, essendo l'uomo costituito da anima e corpo, la sua salute non doveva più dipendere dal medico laico (che elargiva cure inefficaci e pericolose) ma da un religioso a cui Dio aveva concesso i poteri taumaturgici atti a sanare l'anima. Così sorsero gli ospedali (da hospitalitas) che diventarono santuari dove si curava con riti liturgici, preghiere, pellegrinaggi e processioni.

L'hospitalitas era basata sull'accoglienza, assistenza e ospitalità degli ammalati. In seguito al Concilio di Orléans (571), detti ricoveri furono aperti lungo le strade battute dai pellegrini diretti a Gerusalemme, Santiago di Compostela, Roma.
Sorgevano a ridosso di chiese e monasteri. Vi venivano offerti un letto(?!) per la notte, un piatto di minestra e qualche elementare cura (massaggio con unguenti, bacio di sante reliquie, deglutizione di acqua santa). I precedenti xenodochi (xeno-dokèin), destinati ad ospitare gli stranieri, furono sostituiti dagli hospitalia. In ogni ospedale c'erano: un infirmarium (infermeria) con un cubiculum valde infirmorum (sala di degenza per malati gravi); un giardino di piante medicinali (già le civiltà antiche curavano con erbe); un locale in cui si eseguivano clisteri e salassi (servivano a far uscire col sangue o con le feci il peccato del malato); una stanza arredata con un armarmi (armadio contenente libri o una pseudo proto-farmacia).

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