Il Regestum Tiburtinum - Fonti della ricerca documentaria nella regione Tiburtina (seconda parte)

a cura di Giovanni Sanfilippo

Il Regestum Tiburtinum

Nel 1880 il barnabita Luigi Bruzza, su indicazione del padre benedettino Gregorio Palmieri, curò l'edizione complessiva del codice pergamenaceo contenente i documenti relativi alla chiesa di Tivoli, il cosiddetto "Regesto", oggi conservato nell'Archivio Vaticano con la segnatura A.A. I-XVIII 3658. Si tratta di un "cartularium" ascrivibile ad un periodo oscillante tra la metà dell'XI secolo e la prima metà del XII, tipica raccolta medioevale di copie di documenti pubblici e privati diretti ad un unico Ente destinatario che ne curava la registrazione sia per opportunità di consultazione sia per proteggere le carte dai danni che l'uso avrebbe potuto arrecare.
Nessuno studio complessivo è stato finora condotto sull'intero codice, sia per ciò che riguarda le modalità della sua 'confezione' sia sui contenuti, probabilmente a causa dell'interesse circoscrivibile alla sola diocesi tiburtina.


Porta Saracena

Possiamo brevemente riassumere, sulle orme degli studio del Pacifici, del Leicht, del Mosti e del Persili che si parlò per la prima volta di questo cartularium in una miscellanea raccolta dal Cardinale Garampi, coadiutore nel 1700 nella direzione dell'Archivio Vaticano, dove venne riportato il memoriale che il Vescovo tiburtino Giovanni Andrea Croce (1554-1595) aveva indirizzato al Cardinale Rusticucci, segretario dello Stato Pontificio, attraverso il quale si rivendicava alla Chiesa Tiburtina la propietà di molti beni usurpati nel passato. Veniva quindi citata la documentazione storico-giuridica offerta dal nostro codice, conservato allora nell'Archivio Vescovile tiburtino e in cui erano stati trascritti i più antichi documenti riguardanti lo stato patrimoniale della diocesi di Tivoli.

Il cartularium fu pertanto trasferito nell'Archivio di Castel Sant'Angelo; in tale occasione Giuseppe Maria Suarez, in seguito Vescovo di Vaison, ne trasse una copia, non completa, conservata nella biblioteca Barberiniana (cod. 3047). Un certo numero di documenti fu successivamente trascritto dal Marini (Pap. P. 229, 255, 316, 317). Una volta trasferito nell'Archivio Vaticano, la segnatura definitiva fu preceduta da Arm. XIII Caps. V. n. 1.
Da un punto di vista formale, evidenziamo: la scrittura di questo cartularium è una minuscola romanesca del tipo usato soprattutto a Farfa, a Subiaco e in altri centri laziali. Vi si distinguono cinque mani, una serie di subscriptiones, mani ulteriori successive che inserirono note marginali e notazioni cronologiche ascritte nei margini superiori e inferiori dei ff. 19, 18, 47. Impreziosiscono il cartularium cinque miniature di argomento storico-antiquario relativo a vicende tiburtine: sono figurazioni povere e ingenue, sia nel disegno che nel risalto cromatico, probabilmente eseguite dallo stesso amanuense, senza alcuna pretesa artistica.

Il codice contiene diciotto documenti di carattere generale (bolle pontificie di conferma di beni per la chiesa di Tivoli) e particolare: donazioni, locazioni, controversie con l'abbazia sublacense, una bolla pontificia per una chiesa della diocesi. Una diciannovesima charta, estremamente deteriorata, fu trascritta sull'esterno del foglio usato per rilegare il "regesto" . La trascrizione non segue un ordine cronologico, secondo la tenuta irregolare di queste tipiche raccolte medioevali, piuttoso sembra avvertire una intenzionalità basata sull'importanza dei documenti insinuati nel codice.
Dopo il trasferimento nell'Archivio pontificio di Castel Sant'Angelo, nel 1880 il barnabita Luigi Bruzza, su indicazione del padre benedettino Gregorio Palmieri, curò l'edizione complessiva del codice pergamenaceo, elencandone i documenti in modo arbitrario, secondo un ordine soggettivo. Da allora, nessuno studio complessivo è stato compiuto sull'intero codice, attualmente consultabile con particolari difficoltà. La sola charta Cornutiana (doc. n. 2), oltre a citazioni diverse, stata oggetto di esame critico negli ultimi tempi.

È auspicabile una ripresa degli interessi scientifici su questo prezioso cimelio poiché si tratta di una documentazione che, vertendo sulle rivendicazioni 'territoriali' della diocesi, condiziona la topografia e la toponomastica dell'intera valle dell'Aniene dal periodo tardo antico in poi.

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