"Vue d'une pièce d'eau d'une villa à Tivoli" di Lancelot-Théodore Turpin de Crissé

a cura di Roberto Borgia

Nel 1807 giungeva a Roma da Parigi un giovane artista francese, Lancelot-Théodore Turpin de Crissé, pittore di paesaggio già premiato al Salon del 1806. Era il primo dei viaggi in Italia del futuro conte che si sarebbero ripetuti nel 1818, nel 1824, nel 1829 e poi ancora nel 1838. Disegnatore straordinario, amico di Ingres e di Granet, avrebbe lasciato al Musée du Louvre una vasta raccolta dei suoi studi di paesaggio e di vedute italiane che - come lui stesso dichiarava al termine della sua esistenza - erano stati alla base della sua fortuna di pittore. Da questa raccolta di oltre 150 fogli, grazie alla disponibilità del Département des Arts Graphiques del Louvre, vengono esposti fino al 13 febbraio 2010 nel Gabinetto della Grafica del Museo Praz, in Via Zanardelli, 1, a pochi metri da Piazza Navona, ben ventiquattro disegni dell'artista, appunti romani che colgono i vari aspetti della città, il Tevere e i suoi ponti, i palazzi, le chiese, le rovine aggredite dalla vegetazione, le ville ricche di marmi antichi, i grandi parchi, gli ampi panorami fitti di cupole e altane ed i vasti orizzonti della desolata campagna romana, non disdegnando vedute a carattere bozzettistico.
Di nobili origini, l'artista ebbe un'infanzia poverissima negli anni della Rivoluzione e del Terrore, quando allievo dei suoi stessi genitori, entrambi pittori dilettanti, apprese a dipingere facendone la sua professione. Notato da Giuseppina, entrò a far parte della sua piccola corte al Castello di Malmaison (dove la Beauharnais risiedeva stabilmente dopo il divorzio da Napoleone) e ricevette poi negli anni della Restaurazione una cospicua eredità che gli permise una vita estremamente agiata - consona al suo rango ed al titolo comitale ereditato - ed un'interessante attività di collezionista. Rivalutato solo recentemente, è stato oggetto nel 2007 di un'ampia mostra antologica tenutasi al Musée de la Ville di Angers, dove sono conservate molte delle sue opere e le sue raccolte di arte antica.


Ingrandisce foto Vue d'une pièce d'eau d'une villa à Tivoli

La Mostra, curata da Patrizia Rosazza Ferraris, con catalogo delle Edizioni di Storia e Letteratura, interessa particolarmente la nostra città di Tivoli perché sono esposte ben tre vedute, una delle quali di eccezionale valore documentario perché abbiamo riconosciuto in essa l'Ospedale di S. Giovanni Evangelista, naturalmente non ancora circondato dalle costruzioni come ora (Fabrique aux environs de Rome, questo il titolo dato al disegno da Turpin de Crissé).

Non meno importanti le altre due vedute, una della fontana di Nettuno a Villa d'Este, mancante naturalmente degli zampilli che furono inseriti tra le due guerre mondiali da Attilio Rossi ed Emo Salvati ed un interessante disegno che Turpin firma come "palazzo s.croce à Tivoli" e che abbiamo riconosciuto, per la prospettiva delle costruzioni sullo sfondo, come eseguito proprio nel distrutto Palazzo S. Croce, fuori di porta S. Croce, attuale zona tra il Bar Igea e il Tribunale (ex Tommaseo). Interessantissima anche una veduta di S. Cosimato dove esiste ancora il capitello che Turpin mette al lato sinistro della veduta stessa. Presentiamo però innanzitutto, in occasione del cinquecentesimo anniversario della nascita del cardinale Ippolito II d'Este, proprio la veduta della fontana di Nettuno a Villa d'Este. Il disegno a matita su carta, di m. 0,278 x 0,414 è inventariato come "Vue d'une pièce d'eau d'une villa à Tivoli", con una didascalia in basso a destra "a Tivoli".

Possiamo certamente far risalire il disegno al primo viaggio in Italia, all'incirca al 1808, e la fontana non presenta ancora la rigogliosa vegetazione che renderà illeggibile la fontana stessa alla fine dell'800 e prima del restauro Rossi-Salvati. Alla morte del cardinale Ippolito d'Este (1572) era infatti rimasto incompiuto il progetto di Pirro Ligorio di collegare la Fontana di Nettuno con le Peschiere (che si vede in vari progetti originari del giardino) e che Bernini aveva sistemato nella metà del Seicento, con la realizzazione di una cascata d'acqua che dalle Grotte delle Sibille (grotte ben evidenziate nel disegno presentato e non occultate, come dicevamo, dalla vegetazione) raggiungeva, attraverso un pendio roccioso, un semplice vascone sottostante. Prima del restauro una siepe spinosa recingeva la fontana separandola dal resto della villa. Venne realizzata perciò tra le due guerre, inglobando e sfruttando la soluzione del Bernini, una nuova fontana, che sarebbe logico chiamare "Rossi-Salvati", dal nome dell'ideatore del progetto e dall'ingegnere che collaborò per le difficoltà tecniche dell'esecuzione.

Gli interventi, che modificarono profondamente la visione che appare nel disegno di Turpin de Crissé, iniziarono nell'ottobre del 1927, con il dissotterramento e la posa in opera della statua del dio Nettuno, la predisposizione di nuove vasche in cemento armato per superare il forte dislivello e la realizzazione di circa 250 ml di tubazioni in cemento armato per l'adduzione di un ulteriore quantitativo di acqua. Mancano nel disegno anche le torrette laterali sopra le Grotte delle Sibille realizzate tra il 1928 e 1929. Ma il lavoro più scenografico fu la collocazione, ai lati della cascata di fronte alle Grotte delle Sibille, di due vasche rettilinee a sbalzo, da cui fuoriescono dodici zampilli di differente altezza che "stanno a suscitare e a tramandare il ricordo dell'organo idraulico". È questa certamente la fontana a più forte impatto della villa, perfetta sintesi tra antico e moderno, e fonte di ammirazione per tutti i turisti, almeno fin quanto gli schizzi degli zampilli della balaustra arrivavano all'altezza che fu voluta dal progettista Attilio Rossi, come si vede anche nell'affresco moderno in una parete dell'appartamento inferiore, cosiddetta Sala della Fontanina o del Concilio degli Dei.

Da qualche anno, un po' per i problemi causati dalla necessità di depurare le acque dell'Aniene, ma più probabilmente per una discutibile scelta censoria (mi si dice per non coprire la visione dell'architettura della fontana dell'Organo) gli zampilli sono per così dire monchi, esangui, tarpati e non raggiungono più il cielo; anche le due torrette laterali hanno perso così la loro funzione di eccezionale balconata e non si assiste più agli "Oh!" di meraviglia degli stranieri. Vedremo ancora gli zampilli della fontana "Rossi-Salvati" arrivare fino al cielo, oppure i censori odierni avrebbero addirittura preferito lasciare, per un insano progetto di conservazione, la fontana così come appare, certamente incompiuta, nel disegno di Turpin de Crissé? (Nota: per permettere la leggibilità dei particolari abbiamo usato sul file jpg lo strumento della correzione per rendere perfettamente i tratti a matita, altrimenti, il disegno stesso sarebbe stato poco leggibile).

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