"Veduta di Tivoli" di Thomas Patch

a cura di Roberto Borgia

Di chiara ispirazione vanvitelliana questa "Veduta di Tivoli" dell'inglese Thomas Patch (1725-1782), un olio su tela di cm. 81,6x115.9, conservato nello Yale Center for British Art della Yale University, nel centro di New Haven, nel Connecticut, che ospita la più vasta e completa collezione di arte britannica al di fuori del Regno Unito. Secondo dei tre figli di un medico chirurgo, Thomas Patch nacque a Exeter (Devonshire) nel 1725. Seguendo i desideri del padre iniziò a studiare medicina prima nella sua città natale e poi a Londra, ma ben presto capì che quella non era la sua strada e abbandonò gli studi. Nel 1747 intraprese, in compagnia dell'amico Richard Dalton (disegnatore ed incisore e futuro bibliotecario di Giorgio III), il aGrand Tour, il viaggio attraverso l'Europa e l'Italia e che i giovani gentiluomini inglesi realizzavano per il completamento della loro istruzione. Per Patch si trattò di un'esperienza travolgente che cambiò il corso della sua vita: decise infatti di restare a Roma e di intraprendere la carriera dell'artista. Si unì quindi alla folta colonia inglese di pittori, scultori ed architetti che si era stabilita nella Città Eterna e cominciò a frequentare lo studio di Claude-Joseph Vernet, di cui divenne il principale collaboratore. Vernet lo indirizzò al vedutismo e lo introdusse presso una clientela internazionale. È di questi anni la commissione da parte di Lord Charlemont di alcuni paesaggi di Roma e dei dintorni - come questa "Veduta di Tivoli" e la "Veduta di Roma dal fontanone del Gianicolo" (Roma, Collezione del Banco di Roma), in cui il giovane artista dimostra di aver assimilato al meglio gli insegnamenti di Vernet, al punto da specializzarsi anche nelle copie dei suoi dipinti.


Ingrandisce foto Veduta di Tivoli

Alternando l'attività di pittore a quella di antiquario e di copista, Patch credette di aver trovato a Roma una sistemazione definitiva. Nelle lettere ai suoi familiari scriveva di essere felice di poter vivere senza problemi in una città bellissima con meno di una ghinea alla settimana. Ma improvvisamente l'idillio ebbe termine. Nel Natale del 1755 ricevette infatti l'ordine del Tribunale della Santa Inquisizione di lasciare Roma per crimini omosessuali.
Patch partì allora per Firenze con una lettera di presentazione per Sir Horace Mann, il «residente inglese» (una carica equivalente a quella dell'odierno console), di cui divenne intimo amico e socio d'affari.

Nella capitale del Granducato di Toscana l'artista continuò a dipingere quadri alla maniera di Vernet, come la "Veduta con le cascate di Terni" datata 1767, prima di conoscere Giuseppe Zocchi, il protagonista della prima fase del vedutismo fiorentino, alle cui incisioni cominciò ad ispirarsi, variandone alcuni particolari. Appartengono a questo periodo le vedute dell'Arno al Ponte Santa Trinità e di Piazza della Signoria. Un'altra fonte di ispirazione furono le opere realizzate a Firenze dal celebre vedutista olandese Gaspar van Wittell, come risulta evidente dalla "Veduta dell'Arno col ponte della Carraia dalle Cascine" e "L'Arno visto dalla Zecca Vecchia", entrambe del 1771. Nel giro di pochi anni Patch si conquistò una vasta e qualificata clientela internazionale, formata soprattutto da viaggiatori del Grand Tour che volevano portare in patria un ricordo dei luoghi d'Italia che li avevano affascinati.

Nell'arco della sua trentennale carriera l'artista inglese non dipinse comunque soltanto paesaggi, ma anche ritratti (come quello di Lord Roxburghe - oggi alla National Portrait Gallery di Londra - o quello dell'antiquario Raimondo Cocchi) e decine di conversation pieces, opere in cui, grazie ad un'attenta analisi psicologica, la raffigurazione a tema conviviale diventa pittura d'ambiente e di costume (tra le più riuscite il "Punch Party" - caricatura di gruppo con Lord Stamford - e "Gli Asini d'oro", che include ben trentasette figure). Verso il 1770 dette vita anche ad un progetto editoriale che consisteva nell'incisione a stampa delle opere dei maggiori artisti del Rinascimento fiorentino. L'iniziativa prese il via con "La Vita di Masaccio", cui seguirono "La Vita di Fra Bartolomeo", quella di Giotto e del Ghiberti.

La frenetica attività di Patch subì un forte rallentamento nel 1778, quando ebbe un primo infarto. Il secondo, che lo colpì nel 1782 mentre si trovava a casa del suo grande amico Horace Mann nel quartiere di Santo Spirito a Firenze, gli fu fatale.
Non aggiungiamo parole su quest'opera: abbiamo parlato più volte dello spettacolo della cascata del fiume Aniene, con il ponte di S. Rocco, la Chiesa di S. Maria del Ponte (a sinistra), l'edicola di S. Giacinto al centro sul ciglio della cascata, e lo spettacolo pittoresco delle lavandaie, immortalate in moltissime tele, disegni ed incisioni.

(ottobre 2019)

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