"Fountains in Gardens of Villa d'Este, Tivoli (Cento Fontanelle)" di Anonimo (XVII secolo)

a cura di Roberto Borgia

Questo disegno, appartenente alla collezione del Metropolitan Museum of Art di New York, disegno non in mostra per la sua fragilità, viene catalogato come: "Fountains in Gardens of Villa d'Este, Tivoli (Cento Fontanelle)". Di cm. 15 x 19,6 appartenne alla collezione dell'architetto, collezionista, bibliofilo e storico dell'arte Hippolyte-Alexandre-Gabriel-Walter Destailleur (Parigi 1822-1893), che, con gusto impeccabile, raccolse nel corso della sua vita quella che sarebbe diventata una delle più grandi collezioni private di arte grafica e una biblioteca di diverse migliaia di libri. Dopo aver venduto nel 1879 gran parte della sua collezione a Berlino, che poi sarà la base della Kunstbibliothek, iniziò a raccogliere una seconda collezione, per la quale mostrò una preoccupazione particolare per stato di conservazione e provenienza delle opere acquistate. Questa seconda biblioteca fu dispersa negli ultimi anni della sua vita e immediatamente dopo la sua morte: nel 1890, furono poste in vendita le stampe della scuola francese del XVIII secolo; nel 1891, i libri rari e preziosi; nel 1893 (anno della sua morte): i disegni originali raccolti in antologie, tra cui "importanti opere di Saint-Aubin"; nel 1894, i libri e le stampe relative alla storia della città di Parigi e dei suoi dintorni, libri e stampe in materia di belle arti (architettura, pittura, incisione, ornamento); nel 1896, disegni e dipinti, disegni architettonici e decorativi, vedute di Parigi e dei suoi dintorni e i disegni di vario genere.


Ingrandisce foto Cento Fontane - Anonimo

La Biblioteca Nazionale di Francia (Département des EstampesDipartimento di Stampe) mantiene la sua collezione di disegni e stampe, circa 2000 pezzi sulla topografia di Parigi (ceduti nel 1889-1890) e 3521 disegni dedicati alle province francesi (acquistati dopo la morte). Il disegno qui raffigurato fa parte della Elisha Whittelsey Collection ed è stato venduto, insieme a molti altri, dall'antiquario Martin Breslauer di Londra. Il disegno eseguito a penna e inchiostro marrone, con pennello e tinta grigia e blu, su gesso nero è databile alla prima metà del XVII secolo ed in ogni modo prima degli interventi eseguiti nel 1685 a Villa d'Este dal duca di Modena Francesco II, come ricorda la lapide posta all'inizio del Viale delle cento Fontane, dalla parte della fontana dell'Ovato. Questi interventi riguardarono anche l'assetto decorativo delle Cento Fontane che assunsero l'aspetto attuale , laddove vennero definitivamente sostituiti tutti i vasi di terracotta, che tendevano a spaccarsi per le radici della piante e per l'erosione del calcare, con gruppi di obelischi e gigli laterali.

Ma quello che rende questo disegno particolarmente prezioso è la possibilità di ricostruire dei riquadri delle Metamorfosi di Ovidio, che, in terracotta, subivano l'assalto dell'acqua e della vegetazione spontanea (sono ora naturalmente non intelligibili). Già precedentemente lo stuccatore padovano Giovanni Vencilia era intervenuto, all'epoca del duca Francesco I, tra il 1628 e il 1641, su queste formelle, che in numero di 91, raffiguravano appunto le Metamorfosi di Publio Ovidio Nasone (43 avanti cristo-18 dopo Cristo), incentrate sul tema dei corpi e le loro trasformazioni, volute dagli dei. Corpi che sono messi in pericolo da improvvisi attacchi di violenza fisica e carnale e corpi, le cui trasformazioni giuste ed ingiuste, rivelano la personalità degli dèi o sul carattere umano che si nasconde dietro alla forma fisica. E attraverso la trasformazione dei corpi, il poeta esprime anche l'essenza dell'arte quando assistiamo al momento in cui la vita viene infusa nella materia o quando osserviamo la forma esterna della materia fisica che definiscono la nostra identità mentre diventano qualcos'altro. Grazie ad Ovidio possiamo conoscere moltissimi racconti mitologici dell'antichità greca e romana che altrimenti sarebbero andati perduti, o superficialmente tramandati. La prima formella (a sinistra nel disegno - ricordiamo che il progetto originario prevedeva che le formelle fossero poi sbalzate in bronzo) raffigura il mito di Zeus e Licaone, che è proprio la prima trasformazione presente nelle Metamorfosi (Libro I, versi 163-241) dopo l'origine del mondo, Prometeo che crea l'uomo, le quattro età dell'uomo, la Gigantomachia e la via Lattea. Zeus, per vedere se veramente i mortali disprezzassero gli dei, scese sulla terra e andò a chiedere ospitalità a Licaone, re dell'Arcadia. Zeus allude all'arrivo di un dio, la gente si mette ad implorarlo, solo Licaone lo deride e per vedere se veramente fosse un dio, uccide un prigioniero che aveva in ostaggio e "non ancora morto, butta una parte del corpo a stufare nell'acqua bollente e rosola il resto sul fuoco". Non fa in tempo a mettere l'orrendo pasto in tavola, che Zeus gli fa rovesciare addosso la casa. Licaone scappa atterrito per i campi, e si mette ad ululare, non essendo più in grado di parlare: "la rabbia che l'agita gli si raccoglie nel gozzo: sfoga la voglia consueta di ammazzare sulle greggi, e continua anche ora a gioire del sangue. Si mutano in peli i vestiti, le braccia diventano zampe; diventa un lupo, ma serba un'ombra del volto d'un tempo. Il pelo grigio è immutato, immutato l'aspetto feroce, bruciano gli occhi immutati e lui resta l'immagine stessa della violenza".

Proprio l'empietà di Licaone e l'empietà di "più di una casa; dovunque si estende la terra, è il regno di Erinni crudele. Sembra un patto giurato di crimini" che Zeus, col consenso degli altri dei, decise di punire la terra con il diluvio al quale sopravvissero solo Deucalione e Pirra, che poi diedero origine a tutta l'umanità. E riconosciamo nella formella di sinistra Zeus, con la corona, assiso davanti all'empio pasto e Licaone già trasformato in lupo. Sullo sfondo fiamme, che vogliono ricordare la distruzione della casa del re dell'Arcadia. La formella centrale merita poche note, raffigurando il mito famosissimo di Apollo e Dafne, I, 452-567,che per sfuggire al dio venne trasformata in pianta di alloro. La formella di destra, che filologicamente va considerata prima di quella centrale, fa parte sempre del mito di Apollo e Dafne. Il dio del Sole, fiero di sé, vantandosi delle proprie imprese con Eros, il dio dell'Amore, cominciò a schernirlo per il fatto che le sue armi, l'arco e le frecce, non sembravano poi così adatte a lui ("Che ne fai, ragazzaccio, di un'arma da adulto?"); da qui nasce l'infatuazione del dio per Dafne, che, viene causata da un dardo scagliato da un Eros irritato, che voleva far pagare ad Apollo il fatto d'averlo preso in giro dubitando della sua abilità con l'arco. Deciso a vendicarsi, colpì quindi il dio con una freccia d'oro - in grado di far innamorare alla follia dèi e mortali della prima persona su cui avessero posato gli occhi dopo il colpo - mentre la ninfa Dafne, di cui Apollo si era invaghito, con una freccia di piombo che faceva rifuggire l'amore. In tal modo dimostrava inequivocabilmente il potere dell'amore.

(dicembre 2016)

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