Ippolito II d'Este: i suoi trionfi e le sue delusioni (1539-1550)

Gli scopi del neocardinale erano: tutelare innanzitutto i propri interessi, poi quelli di Francesco I (Re di Francia), infine quelli del fratello Ercole d'Este, duca di Ferrara. Divenne quindi amico a Roma di Margarita d'Austria, figlia naturale dell'imperatore Carlo V e sposa di Ottavio Farnese; si legò al papa da cui ottenne la liberazione di Benvenuto Cellini. Conducendo una vita dispendiosa, chiese prestiti a parenti, amici e usurai. Richiamato da Francesco I, che lo nominò membro del suo cosiglio segreto e gli promise di fargli avere il vescovato di Ferrara, tornò in Francia accompagnato dal Cellini che realizzò per lui opere da donare ai vip di quel tempo.


Particolare degli affreschi del Palazzo

I bagordi eccessivi iniziarono a minargli il fisico, pur tuttavia continuò a perseguire i suoi scopi. Fece sposare Anna d'Este con Francesco di Guisa; si intromise nei difficili rapporti tra il papa Paolo III, l'imperatore CarloV e Francesco I. Quest'ultimo lo inviò come messo a Roma per convincere il pontefice ad aderire alla lega contro Carlo V. Scoppiata la guerra franco-imperiale, fu mandato (1544)da Francesco I a convincere Venezia e il papa Paolo III ad entrare in guerra al fianco dei francesi. Ippolito non vi riuscì e tornò in Francia sapendo che il conflitto stava per concludersi (pace di Crepy, 1544).

Trovò la corte gallica divisa in due partiti. Morto il 31 marzo 1547 Francesco I, Ippolito (che aveva perso anche il fratello Alfonsino) simpatizzò col nuovo re, Enrico II, il quale gli affidò la Protezione degli affari di Francia (includenti cospicue rendite annesse). Lo inviò a Roma per stabilire una lega con Paolo III e per operare una riconciliazione tra l'imperatore e il papa. La morte di quest'ultimo riaccese le speranze di Ippolito di prendere la tiara e perchè ciò si realizzasse fece ritardare l'apertura del conclave onde dar modo ai cardinali francesi di giungere a Roma.


Stemma degli estensi

Nel dicembre del 1549, in occasione della distribuzione a sorte per un anno delle terre e dei governi della Chiesa, Ippolito divenne governatore di Tivoli, mentre al soglio pontificio saliva Giulio III. Nascendo dei dissapori con Enrico II (che aveva dato la massima autorità in Italia all'ambasciatore francese a Roma, Claudio d'Urfè), Ippolito decise di appartarsi e di venire a Tivoli (il cui governorato Giulio III gli aveva riconfermato) il 9 settembre 1550 salutato dagli spari a salve dei cannoni, accolto dall'entusismo popolare e dalla diffidenza dei nobili. Non potè adattarsi a vivere in un Palazzo di governo ricavato da un austero convento di frati benedettini, confiscato da papa Alessandro IV nel 1256 e dato in parte ai frati francescani.

Ideò allora di costruire una villa che fosse in campagna, gemella del grandioso Palazzo che stava costruendo a Roma, a Monte Giordano, in cui dava ricevimenti, allacciava amicizie e le rinsaldava. La costruenda dimora tiburtina doveva invece offrire un piacevole asilo agreste che permettesse più lunghi e meditati colloqui d'intesa in luogo appartato. Nella Valle Gaudente a Tivoli realizzò quindi Villa d'Este, espropriando, in una prima fase, vigne e terreni sia dei coloni che degli stessi frati e edificando (a partire dal 1560) il Palazzo e il giardino.

Il fatto di essere il governatore di Tivoli gli permise di fare effettuare scavi archeologici nelle numerose Ville romane (di Adriano, di Mecenate ovvero il Santuario di Ercole Vincitore, di Quintilio Varo, ecc.) seguendo la moda cinquecentesca, per entrare in possesso di statue e reperti dell'antica Roma, verso cui lo indirizzava la sua educazione classica. Divenne così un grande mecenate (finanziò gli scavi archeologici a Villa Adriana grazie all'opera del Ligorio), entrò in possesso di grandi collezioni artistiche che scambiò e donò per avere la riconoscenza di personaggi che in futuro avrebbero potuto essergli utili.

Chi è interessato a conoscere dettagliatamente la biografia (qui riassunta) può leggere "Ippolito II d'Este cardinale di Ferrara" di Vincenzo Pacifici, Società Tiburtina di Storia e d'Arte - Tivoli ristampa 1984

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