Altorilievo equestre di Marco Curzio

Le attività di scavo effettuate nell'area di Villa Adriana erano sempre promosse dai cardinali, salvo poche eccezioni, come nel caso di Marcantonio Paloso che, pur non avendo proprietà nell'area interessata dalla Villa, scavò per conto di Giulio III nella Valle di Tempe e Giovanni Battista Cappuccini, detto il Buccicola, che fece sondaggi nella sua proprietà (coincidente con l'area della Palestra e del Teatro Greco).
Sugli scavi effettuati dal Paloso ci pervengono notizie grazie agli scritti di Agostino Penna secondo il quale l'altorilievo restaurato come Marco Curzio che si getta nella voragine, oggi esposto a Roma nella Galleria Borghese, sarebbe proprio uno dei frutti di questa attività.
Il "pezzo" viene citato anche da Ulisse Aldovrandi ("Delle statue antiche che per tutta Roma in diversi luoghi e case si veggono"in L. Mauro "Le antichità della città di Roma", Venezia 1556), il quale asserisce che ". in casa di M.Antonio Paloso alla Dogana nel muro della loggia della corte si vede di mezzo rilievo un bellissimo cavallo, che pare inciampando cada; è lavoro meraviglioso, e degno, e ritrovato pochi dì a dietro in Tiburi".
Lo stesso Pirro Ligorio, che seguì, per conto del Cardinale Ippolito II d'Este, numerosi scavi presso la Villa, riporta come, nel corso di uno di questi, "vi furono trovati, fra altri marmi, certi frammenti di cavalli, fra i quali uno quasi intero col giogo al collo in atto di cadere, che trasferito in Roma, fu collocato nel portico della casa di Marcantonio Paloso alla Dogana".


Altorilievo equestre
di Marco Curzio

Passato nelle mani di Scipione Borghese (1576 - 1633), venne sottoposto ad un restauro molto invasivo da parte di Pietro Bernini (padre di Gian Lorenzo) di cui ne abbiamo notizia grazie ad un mandato di pagamento del 28 aprile del 1617 di ben 150 scudi. Il rilievo antico, in marmo pentelico di dimensioni 120 x 240 cm, fu inclinato di circa novanta gradi trasformando quello che doveva essere un cavallo rampante in uno che sta precipitando. Inoltre fu aggiunta la figura del cavaliere trasformandolo in un gruppo di Marco Curzio che si getta nella voragine.
Il mito di Curzio era, infatti, già stato utilizzato dal cardinale Scipione Borghese per l'autorappresentazione, in ricordo della sua visita nel gennaio 1606 alla vittime di una inondazione del Tevere, come si ricava dalla descrizione del Francucci di uno dei pannelli in bronzo della porta del palazzo Borghese in via di Borgo Nuovo.

La leggenda, riportata da Tito Livio negli Annali, narra di un certo Marco Curzio, uno dei più valorosi guerrieri dell'esercito romano appartenente alla gens Curtia, che nel 362 a.C. si gettò con il suo cavallo dentro una voragine che si era aperta nel Foro Romano e che , secondo i sacerdoti, si sarebbe allargata fino ad inghiottire la città intera a meno che non si fosse gettato in quel baratro quanto di più prezioso ogni cittadino romano possedeva (l'indimenticabile attore Antonio de Curtis, in arte Totò, sosteneva che la sua famiglia discendesse proprio da questo personaggio leggendario).

Già prima del 1623, quindi, l'altorilievo in questione viene segnalato nel centro della facciata meridionale di Villa Borghese Pinciana, ora sede della Galleria Borghese. Nel 1776, durante i lavori di trasformazione della villa voluti dal principe Marco Antonio IV Borghese, l'architetto Antonio Asprucci fece rimuovere l'altorilievo di Marco Curzio e, dopo alcuni interventi di restauro eseguiti da Agostino Penna, fu collocato in alto, proprio sopra la porta di accesso in posizione centrale e simmetrica, nel salone d'ingresso, dove è attualmente.
Il restauro di Agostino Penna, di cui non conosciamo i particolari, è attestato dal mandato dell'Archivio Borghese datato 1 luglio 1776: "scudi 180 ad A. Penna in conto di 270 per il restauro del Curzio per Villa Pinciana".

Fu il Lanciani ("Storia degli scavi di Roma e notizie intorno le collezioni romane di antichità, Roma, 1902 - 1912") il primo ad identificare il frammento originale di questo altorilievo con quello trovato a Villa Adriana, da Marco Antonio Paloso ed ammirato nella propria casa dall'Aldrovandi.

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