L'uso del travertino nell'antica Roma

A Roma nel periodo, in cui Strabone (63 a.C. - 20 d.C.) la visitò, riferisce che venivano impiegati due qualità pietrose: il travertino, noto come lapis tiburtinus (pietra tiburtina) estratto dalla cava del Barco a Tivoli, e la pietra rossa di Gabii (oggi Zagarolo). Mentre in precedenza l'utilizzo del travertino era limitato solo alle fondazioni, ad alcune parti in sostituzione del tufo, in muri di sostegno, come supporto per rifiniture successive, a partire dal II sec. a.C. al I sec. a.C. esso fu utilizzato nelle costruzioni statali, civili ed utilitarie non più come supporto ma come pietra ricercata per le sue ottime caratteristiche quali la possibilità di essere scolpito, per la sua energia tettonica, per la sua scarsa degradabilità, per il suo colore.


Ingrandisce foto Il Teatro di Marcello

Anche se non si prestava alla realizzazione di statue elleniche molto particolareggiate avendo una grana inadatta, il travertino risultò il materiale più adatto per realizzare un'architettura più romana e meno ellenizzante, un'architettura tipica dei "conquistatori del mondo". Porte urbane, ponti, acquedotti, anfiteatri, terme ed edifici in genere al servizio della comunità furono realizzati in travertino che meglio si adattava alla realizzazione di forme arcuate tipiche della cultura romana e lontana da quella greca.

Fu sotto Augusto quindi che il lapis tiburtinus fu elevato al rango di materiale "nobile"; comparve nelle parti più importanti ed appariscenti del Teatro Marcello (13 a.C. -11 a. C.), nella porta urbana sull'Esquilino impropriamente detta "Arco di Galliano"anche se nei templi veniva ancora impiegato il marmo. A partire dalla metà del I sec. a.C. non molto tempo dopo l'erà augustea il travertino fu usato anche per realizzare lavori in cui in passato si utilizzava il marmo chiaramente però modificando alcune cose.

Colosseo
Ingrandisce foto Il Colosseo

Si capì che una colonna in travertino per esempio non avrebbe mai potuto avvicinarsi alla perfezione nelle scanalature di una marmorea perché il travertino è bucherellato e quasi spugnoso; occorreva quindi fermarsi ad uno stadio di lavorazione meno "completo": fare il fusto della colonna non scanalato ma tornito, rastremato puntando sull'effetto complessivo e meno sui particolari.

Questo diffondersi di un nuovo gusto per un'architettura basata su elementi lavorati fino a stadi "prefinali" si sviluppò soprattutto nella costruzione di opere realizzate tra l'età di Tiberio e quella di Nerone, in una parola sotto la dinastia Giulio-Claudia in cui si ebbe l'esaltazione del rustico, del "non finito", efficacemente espresso dall'uso del travertino. Fu però con la realizzazione dell'anfiteatro Flavio, meglio noto come il Colosseo, che il lapis tiburtinus raggiunse la sua massima applicazione in un edificio che rappresenta il top dell'architettura romana dove forma, e materiale esprimono chiaramente i caratteri dello Stato romano che si ritrovano nei palazzi palatini, nella Villa Adriana, nelle terme.

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