Ristampato il V capitolo delle "Antichità Tiburtine" di Antonio del Re (1611)

a cura di Roberto Borgia

Una premessa è necessaria: occorre spezzare una lancia a favore di noi tiburtini, o meglio difendere il nostro carattere, spesso considerato poco cordiale verso gli stranieri o gli ospiti. La famiglia di Antonio del Re, di origine bergamasca, seppe inserirsi, come molte altre, nel panorama della nostra città alla metà del XVI secolo, raggiungendo importanti traguardi non solo meramente economici. Un motivo di soddisfazione per lo stesso Antonio, che nell'unico volume stampato delle sue "Antichità" poteva definirsi con orgoglio "tiburtino". Basta perciò con questa falsa diceria del carattere poco affabile dei tiburtini, non si tratta di poca ospitalità, ma di riservatezza, che potrebbe essere scambiata, falsamente, per scortesia. Chiunque è venuto nella nostra città, è stato ben accolto e, se meritevole, si è fatto onore, raggiungendo i più alti traguardi.
L'occasione della premessa è data dalla ristampa del capitolo V contenuto nell'unico volume edito (nel 1611) delle "Antichità Tiburtine", a cura della giovane studiosa Emanuela Marino, per i tipi della Universitalia, Roma, 2014. Il volume si avvale della prefazione di Carmelo Occhipinti, uno dei maggiori esperti delle antichità estensi, docente di Museologia e Storia del collezionismo nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", dove Emanuela ha conseguito la laurea magistrale in Storia dell'Arte a pieni voti, avendo come relatore proprio l'Occhipinti.


Copertina della ristampa

Ci auguriamo perciò che l'autrice possa percorrere con successo la strada della divulgazione scientifica degli aspetti artistici e storici della nostra città e seguire da staffetta tutti quelli che da anni, faticosamente, tentano di valorizzare il patrimonio della nostra Tivoli. Soprattutto perché l'altro argomento della sua laurea triennale in Scienze dei Beni Culturali è stato il pittore francese Jean-Honoré Fragonard (1732-1806), del quale i nostri lettori ben conoscono le opere che sistematicamente vengono pubblicate nel Museo virtuale.
Gli interventi redazionali della Marino hanno permesso di togliere allo scritto di Antonio del Re quella patina di vetustà (che pure a noi tanto piace!), pur rispettando il costume grafico dell'edizione originale: così, ad esempio, è stata eliminata l'h superflua, si è convertito in z il ti seguito da vocale, e l'et in e, la u è stata distinta dalla v, e sono stati rettificati gli errori di stampa, già segnalati dall'editore nell'edizione del 1611. Sono stati normalizzati i termini dialettali, etc, ma non essendo un testo critico, ma una trascrizione, sono state sciolte solo le abbreviazioni e le sigle di cerimonia, e non le iscrizioni latine riportate dall'autore.

L'intervento per l'integrazione di alcune lacune o rettificazioni è stato sempre segnalato con il segno diacritico di parentesi quadre. "La riedizione del capitolo V delle Antichità è stato un lavoro lungo e abbastanza faticoso - mi diceva Emanuela Marino - portato avanti anche con i preziosi consigli ed il continuo supporto del prof. Occhipinti, ma che infine mi ha dato una grande soddisfazione. Ho lavorato al volume negli ultimi due anni e le difficoltà incontrate, a livello testuale, non sono state poi molte: giusto il doversi confrontare con qualche termine arcaico o dialettale, e con alcuni periodi un po' prolissi. La fase più impegnativa del lavoro è stata la rilettura e la revisione del volume, cui ho dedicato molto tempo ed energie affinché ne uscisse fuori un lavoro ottimale. Da questo mio studio, e proprio prendendo come punto di partenza il testo di del Re, è nato anche un articolo dedicato alle tecniche artistiche e all'impiego di materiali diversi nella decorazione della Villa d'Este, articolo che è attualmente in fase di revisione e che verrà pubblicato nel prossimo numero della rivista di storia dell'arte Horti Hesperidum. Con il lavoro di riedizione delle Antichità, la mia tesi di laurea e l'articolo connesso ad essa, ho voluto tentare di dar voce, nel mio piccolo, ad un testo di storiografia artistica che - seppur non di grande fama - credo sia comunque importante per la storia e l'arte del nostro territorio, e rappresenta una testimonianza seicentesca sulla Villa d'Este da non sottovalutare.".


Ingrandisce foto Frontespizio dell'edizione a stampa
del 1611 del V capitolo delle Antichità Tiburtine
, conservato nella Biblioteca Comunale
di Tivoli, BTA 15550

Il lavoro non è per nulla da minimizzare, anzi tutt'altro, perché riporta all'attenzione la descrizione della villa d'Este non ancora decadente, ma in uno dei periodi di massimo splendore e la descrizione puntuale di del Re, riportata dalla Marino puntualmente in un linguaggio accessibile e scorrevole, permette di datare interventi sulla villa stessa, che rimase per molti anni, anche dopo la morte di Ippolito II nel 1572, un vero e proprio cantiere.
Ma chi era il del Re? Egli fece parte dell'Accademia degli Agevoli il cui fondatore fu l'arcivescovo di Siena Francesco Bandini Piccolomini, il quale, dopo la fine della repubblica di Siena il 25 aprile 1555, vendette ogni suo bene e si stabilì a Tivoli acquistando e facendo riadattare il palazzo, che ancora oggi è possibile vedere in via Domenico Giuliani (già via Maggiore) quasi dirimpetto alla fontana di "Gemma". In questo palazzo con il portale attribuito al Serlio, che lo distingue da tutti gli altri e che si pensa donatogli dal cardinale stesso dal suo palazzo sul Quirinale, si riunivano probabilmente i letterati del tempo, che nel salotto di questo prelato leggevano le loro composizioni letterarie inneggianti alle nobili origini della città. Il latinista e archeologo gesuita Fulvio Cardoli, autore di un dramma religioso ispirato alla passione di Santa Sinforosa e dei suoi figli, ne era l'animatore con Fabio Croce, M. Antonio Mureto, Orazio e Renato Gentili, Antonio Fornari, Giovanni Andrea Croce, Bernardino Spada, l'annalista tiburtino Giovanni Maria Zappi e altri.

Il del Re, allora giovanissimo, partecipava a queste riunioni ascoltando le discussioni e le scoperte che avvenivano nel territorio oppure recandosi personalmente in luoghi ove qualche contadino gli mostrava gli avanzi di qualche "anticaglia". Nel V capitolo delle "Antichità Tiburtine", l'unico stampato all'epoca (1611) e che fu dedicato al principe Luigi d'Este, nella prima parte dove descrive la villa d'Este, il del Re più volte cita e riporta descrizioni delle stanze o fontane tolte dal manoscritto compilato dall'architetto della villa Pirro Ligorio, e che egli più volte esaminò.
Nella seconda parte descrivendo le ville del territorio tiburtino afferma che il Ligorio aveva compilato una pianta della Villa di Adriano, ma per quanto egli abbia cercato non l'ha trovata. Illustrando i monumenti stessi della villa riporta più volte la "descrittione" fatta dal Ligorio, esprimendo anche un giudizio sul Ligorio stesso definendolo "huomo più antiquario, che buono historico, et erudito".

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