Tecniche di realizzazione degli acquedotti

Punto di partenza era la scelta della sorgente o del corso d’acqua da cui attingere. Bisognava valutare: la qualità, la quantità, la regolarità del flusso, e la quota del punto di captazione. Quest'ultima era basilare in quanto la propulsione era garantita dalla pendenza dell'intero percorso. Si procedeva quindi alla realizzazione, tramite dighe, di un bacino di raccolta, che tratteneva le acque di superficie. Nel caso di acque sotterranee venivano scavati pozzi e cunicoli che imbrigliavano la vena in un condotto unico.
L'acqua doveva poi sostare nelle vasche di decantazione (piscinae limariae)per eliminare le prime impurità dopo di che veniva immessa nel canale (specus) in cui scorreva. Una pendenza leggera e costante, necessaria ad assicurare uno scorrimento regolare e non troppo impetuoso, caratterizzava tutta l'intera canalizzazione.
Solo in pochi casi si utilizzò il sistema del “sifone inverso” che, accumulando una certa pressione, consentiva all’acqua di risalire un pendio.

Ponte S.Pietro
Ingrandisce foto Ponte S.Pietro (S.Gregorio da Sassola)

La lunghezza degli acquedotti risulta notevolmente maggiore (esempio l'acquedotto dell'aqua Virgo) della distanza lineare fra la sorgente e il punto di erogazione. Ciò è dovuto al fatto che si preferiva assecondare le naturali caratteristiche del terreno e mantenere il più possibile costante una regolare pendenza, giacché le tubazioni delle condutture erano in piombo (difficile da saldare) o in terracotta in una camicia di cemento (scarsamente resistente alle alte pressioni).

Il canale, in cui scorreva l'acqua, era preferibilmente sotterraneo, in uno specus scavato nella roccia; quando in qualche punto correva in superficie, veniva ricoperto con lastre di pietra. Se poi bisognava attraversare corsi d’acqua o depressioni, allora lo specus correva su muri o su arcate.

Giunto in città a fine percorso, il canale sfociava in una costruzione (castellum aquae) che conteneva altre camere di decantazione e la vasca terminale da dove l’acqua veniva distribuita nelle condutture dell'utenza urbana. Dentro le mura urbane c'erano poi altri "castella"che provvedevano ad ulteriori ripartizioni del flusso. Il rifornimento idrico delle ville extraurbane era assicurato da "castella" posizionati prima di quello principale.
Il castellum terminale in qualche caso assumeva l’aspetto di una fontana monumentale. Ne è un esempio i “Trofei di Mario”, i cui resti sono visibili nei giardini romani di Piazza Vittorio.

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