Tivoli - Nascita della scuola a Tivoli: nel XVI secolo gli albori dell'istituzione "Convitto" (quarta parte)

a cura di Maria Luisa Angrisani

Nel periodo pioneristico, molte scuole d'Italia "aprirono" con una classe elementare di lettura, propedeutica al programma scolastico vero e proprio che venne suddiviso in un sistema di cinque classi: prima, seconda e terza di grammatica, classe di humanità e classe di retorica. Lo studente poteva passare alla classe successiva solo dopo aver acquisito l'intera materia della classe in cui si trovava. La verifica avveniva attraverso continue prove d'esame nel corso dell'anno. Si prevedeva che le prime tre classi raggiungessero la preparazione completa ciascuna dopo un anno di studio, per quella di humanità occorrevano due anni, uno per la classe di retorica. Qua e là si tentò la sperimentazione di un insegnamento di lettere greche, ma questa disciplina fu comunque tenuta sempre in subordinazione e in scarsa considerazione. La classe propedeutica, già all'inizio vista con perplessità e una sorta di sufficienza, fu abbandonata assai presto, su raccomandazione dello stesso S. Ignazio, proteso a proporre la scuola dei Gesuiti come referente ottimale - se non unico possibile - per la formazione del ceto dirigente dell'epoca. Ciò non avvenne - e fu purtroppo il caso della scuola tiburtina - nelle città particolarmente povere e comunque poco ricettive al nuovo messaggio che individuava nell'educazione umanistica il fulcro per una "disciplina di vita" di particolare valenza politica.


Piazza Garibaldi

È comunque comprensibile il continuo ondeggiare sulla liceità di mantenere in piedi a Tivoli una scuola che in realtà non ebbe mai a progredire e dove non si colsero neppure particolari frutti spirituali, visto che ben pochi frequentatori delle scuole gesuitiche decisero di entrare in seminario e farsi preti, anche se dobbiamo registrare che fra quei "pochi", spiccarono personalità eccellenti.

Emerge comunque fra le carte della Compagnia una certa insofferenza nei confronti della scuola di Tivoli, insofferenza che durò praticamente per lunghi decenni. Nel Fondo Gesuitico 1634 sono conservati diversi documenti che evidenziano, per la seconda metà del secolo XVI un continuo contrasto tra i Padri e la Municipalità. In una Carta relativa al 1583, una mano del Seicento annota: "Habbiamo nell'Archivio una bellissima Bolla del Papa, nella quale non ci obbliga ad altro che a nostri ministerij, o per dir meglio dice darci detto priorato, acciò possiamo meglio esercitare i nostri ministeri e sodisfare anco alli malsani che per godere aria salubre vengono da Roma, et a quelli che di là vengono alle volte ad aiutarci, come espressamente dice Grego; ciò si è qui notato perché nel 1662 ardirono alcuni Tiburtini spargere che c'era obligo delle scole; per le quali prima pagava la Communità cemto scudi l'anno, come altrove si è notato".

Siamo abbastanza informati sulla struttura scolastica e sui testi in uso nei vari collegi gesuitici italiani: disponiamo di diversi catalogi lectionum che elencano i testi adottati in ogni classe. Quelli dello stesso periodo in cui si aprì la scuola sono conservati a Messina (scuola del 1558), nel Collegio Romano (1560), a Palermo (1561), a Forlì relativamente al biennio 1561-'62, a Napoli (1564), a Milano (1565).
La tipologia didattica delle nuove scuole affidava sostanzialmente alla "memorizzazione" il suo carattere distintivo. Fin dalla prima classe di grammatica, infatti, gli studenti erano costretti a mandare a memoria il semplicissimo manuale di latino elementare scritto appositamente nell'Europa settentrionale da Iohannes Despauter (Despauterius) e adottato praticamente in ogni scuola, successivamente sostituito con la grammatica del portoghese Manoel Alvares.

Questo era l'unico caso in cui agli insegnanti che curavano la frettolosa spiegazione dei manualetti era ancora concesso di usare il volgare. Successivamente si studiava Catone, Cicerone, Orazio,Ovidio, autori tutti nella versione cosiddetta "espurgata". Quotidianamente si aggiungevano prove di brevi e semplici composizioni latine.
Dopo il biennio si passava ad una terza classe di grammatica dominata quasi interamente dalla lettura di Virgilio e dall'onnipresente Cicerone, ma non mancava ancora Ovidio, Terenzio e l'introduzione dei primi concetti di storiografia con la "Guerra di Giugurta" di Sallustio.
Lo studente, ormai ferrato in ogni sottigliezza del'aspra lingua avita, poteva finalmente accostarsi alle due classi di "humanità", ma a questo punto il drappello era estremamente depauperato, se non scomparso del tutto. Non pensiamo, ovviamente, ai "collegi dei nobili", nati per forgiare la classe dirigente dei sei-settecento, ma alle varie schuolette sorte nelle diverse cittadine di provincia che solo nel caso dell'istituzione di un seminario avevano qualche possibilità di far sopravvivere gli "studi superiori".

Il completamento degli studi era riservato solo a chi riusciva a padroneggiare completamente la lingua latina, disciplina che, oltre a costituire uno spartiacque tra la classe dirigente e il "volgo", più di ogni altra andò a saldarsi con il retaggio culturale trasmesso dalla "romanità". Il problema non sfiorò neppure la scuola tiburtina della Compagnia di Gesù, e i pochi nobili e i pochi eruditi che, legati ai casati principeschi o alle Accademie sorte nei secoli successivi al XVI, coltivarono quest'arte e ne appresero i rudimenti, lo fecero in tutt'altri contesti, per lo più privati, anche se si avvalsero comunque di pedagoghi formati alle scuole dei Gesuiti.

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