"Veduta del fiume Aniene a Tivoli, a monte della cascata vecchia" (seconda parte) di Gaspar van Wittel

a cura di Roberto Borgia

Presentiamo il particolare del lato destro della "Vue du fleuve Aniene a Tivoli, en amont de la vieille cascade" (Veduta del fiume Aniene a Tivoli, a monte della cascata vecchia), olio su tela di cm. 21 x 33,2 firmato e datato da Gaspar van Wittel (1652/53-1736), già nella Galleria Canesso di Parigi, ora in una collezione privata.
Van Wittel aveva poco più di vent'anni quando venne a Roma, il 1694 è la data più probabile del suo arrivo, e nell'Urbe è documentato per la prima volta nel gennaio del 1675. Fece parte della nutrita schiera dei pittori olandesi che risiedevano a Roma. In quello stesso anno collaborò con l'ingegnere Cornelis Meyer per effettuare i rilievi grafici del corso del Tevere, propedeutici per l'eventuale navigazione del fiume stesso da Perugia a Roma e la precisione di queste investigazioni contribuiranno a dargli per gusto del dettaglio e un'impostazione descrittiva e tersa tipica, tra l'altro del vedutismo nordico.
Utilizzava per i suoi dipinti alcuni strumenti già utilizzati dai vedutisti del Nord, come la scatola ottica o camera oscura, un dispositivo composto di una scatola oscurata con un foro stenopeico (dal greco stenos opaios, stretto foro) sul fronte e un piano di proiezione sul retro dell'immagine. Il foro fa entrare la luce, che proietta sul lato opposto della scatola l'immagine capovolta di quanto si trovi davanti al suddetto foro. Più il foro è piccolo e più l'immagine risulterà nitida e precisa. In questo modo tutti gli oggetti appaiono a fuoco, indipendentemente dalla loro distanza dal foro, ma naturalmente una scatola semplice in questo modo è adatta solo ai soggetti immobili e propriamente ai paesaggi.


Ingrandisce foto "Veduta del fiume Aniene a Tivoli, a monte della cascata vecchia"
di Gaspar van Wittel

In meno di dieci anni van Wittel raggiunse la sua maturità artistica, che coniugando la precisione dei suoi paesaggi e le risorse tecniche che gli saranno sempre proprie, non l'abbandonerà mai. Pittore cosiddetto vedutista poteva fare ad anni di distanza diverse repliche dello stesso soggetto, cambiando alcuni dettagli e talvolta le architetture per offrire un sempre diverso panorama.
Questa tela è particolarmente significativa, innanzitutto per l'eccezionale qualità, coerente con il più alto livello di van Wittel, ma anche perché rispetto alle altre tele che raffigurano l'Aniene prima della cascata, contiene sul lato destro, a fianco di Porta S. Angelo, alcune case, che non compaiono negli altri dipinti.

La porta S. Angelo era così chiamata per la Chiesa di S. Angelo in Piavola, ridotta poi in monastero degli Olivetani, poi passata in proprietà dei principi Massimo di Arsoli e trasformata in casale di campagna ed infine trovando l'attuale sistemazione come Hotel Torre S. Angelo. La porta venne demolita nel 1889 per consentire il passaggio del landau che avrebbe dovuto trasportare l'imperatore di Germania Guglielmo II, il quale invece effettuò la visita solo dieci anni dopo, a causa di un immane nubifragio che si abbatté nel giorno programmato per la visita nella nostra zona. La porta si trovava all'altezza del muro che recinge villa Gregoriana, all'aiuola che funge da spartitraffico e dove ora è sistemato un busto bronzeo di papa Gregorio XVI, sotto il cui pontificato furono realizzati i cunicoli gregoriani, e da un lato c'era la via delle cascatelle, attuale Via di Quintilio Varo e dall'altro la strada per Subiaco, attuale Viale Mazzini, già Viale Umberto I.
Non era ancora stata costruita Via Roma, quella che costeggia il bacino S. Giovanni, che fu inaugurata il 22 gennaio 1929 da Vittorio Emanuele III insieme appunto all'inaugurazione del bacino stesso. Davanti alla stessa porta c'erano soltanto degli oliveti, non naturalmente le attuali costruzioni.

Proprio Porta Cornuta fu il nome che verrà usato precedentemente prima che fosse chiamata Porta S. Angelo, prendendo il nome o da un prossimo fondo dei Cornuti oppure perché da lì le due strade si biforcavano ad ipsilon o ancora perché lì si ammassavano gli animali prima di essere fatti passare per Tivoli attraverso l'attuale via S. Valerio per poi recarsi verso la pianura romana.
La zona a monte era denominata "Costa fracida", un fondo situato in prossimità della distrutta Chiesa di S. Leonardo a Porta Cornuta.
Sul toponimo "Costa fracida" il Pacifici lo fa derivare dalle rocce erose dal fiume Aniene prima che deviasse il corso verso l'attuale baratro di Villa Gregoriana, altri perché in quella zona, fuori della città, venivano isolati i malati di peste, infatti a partire dall'anno 1388 nacque la confraternita di S. Rocco che aveva questo incarico pietoso, trasferita poi nella Chiesa di S. Maria del Ponte.

Notare, sul lato sinistro della Porta, vedendo la tela, la chiesetta di S. Egidio, isolata, alle falde del monte Catillo.
Poco oltre il ponticello che permetteva di traversare il canale della Stipa, e scendendo, proprio verso il baratro della cascata, l'edicola con l'icona di S. Giacinto, eletto protettore della città, per un verso miracolo compiuto nel 1592, quando essendo precipitato un muro della cascata, molte case e chiese erano state sommerse e l'acqua dell'Aniene non scorreva più per alimentare la forza idraulica degli opifici. Ma la notte precedente la festa di S. Giacinto, cadde un gran muro sulla bocca della cascata, facendo ad argine e ritornò l'acqua agli opifici, da qui l'edicola di S. Giacinto e la scritta dedicatoria incisa sul muro vicino.
Ancora più oltre il ponte di S. Rocco ed i templi dell'acropoli, con il campanile di S. Giorgio sullo sfondo. In questa tela il punto di vista è più spostato sulla destra, rispetto alle altre vedute dello stesso soggetto, e si nota una luminosità tipica del mezzogiorno, che rende ancora più oggettiva questa visione di Tivoli.


(settembre 2015)

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