" Horace and Tibur " di Jean Baptiste Auguste Leloir

a cura di Roberto Borgia

Il pittore François-Édouard Picot (1786-1868) fu allievo di François-André Vincent e di Jacques-Louis David, ottenendo il secondo gran Prix de Rome nel 1811. Dopo lo stage romano, espose nel Salon di Parigi del 1819 Amore e Psiche e dipinse La morte di Zafira per la chiesa parigina di Saint-Séverin. Eletto membro dell'Académie des Beaux-Arts nel 1836, continuò a esporre i suoi quadri al Salon fino al 1839. Decorò con Hippolyte Flandrin la chiesa di Saint-Vincent-de-Paul di Parigi e realizzò dipinti e affreschi per il Louvre, il castello di Versailles e il palazzo del Luxembourg. Insieme pittore di storia, di genere e ritrattista, Picot fu apprezzato tuttavia più per i suoi meriti d'insegnante che per il suo talento di pittore. Tra i suoi tanti allievi vogliamo ricordare Jean Baptiste Auguste Leloir (1809-1892), che continuò le orme del maestro diventando pittore di scene storiche, religiose, di genere, affreschi ed acquarelli, debuttando, dopo il suo canonico viaggio in Italia, come ritrattista al Salon del 1835, mentre in quello del 1837 espose due opere, ma vincendo medaglie solo nel 1839 e nel 1841. Onorato con il titolo di Cavaliere delle Legion d'Onore nel 1870, decorò circa trenta chiese tra cui Saint-Merri, Saint-Germain l'Auxerrois, Saint-Severin et Saint-Jean de Belleville. L'olio su tela che qui presentiamo, risalente al 1878, la cui riproduzione è praticamente impossibile da reperire dal momento dell'asta fatta da Sotheby's a New York il 3 maggio del 2000; offriamo quindi con molto piacere la tela ai nostri lettori. Il titolo dell'opera battuta all'asta fu "Horace and Tibur", cm. 100,3 x 130,8, laddove l'artista francese ha voluto rappresentare, iconograficamente, il grande poeta latino, con lo sfondo della nostra città.


Ingrandisce foto "Horace and Tibur"

Non entriamo naturalmente nel merito della villa attribuita ad Orazio (65-8 a.Cr.) e che si ritiene costruita di fronte all'acropoli, nel sito dell'attuale chiesa di S.Antonio sulla strada per Quintiliolo. L'amore per la nostra città del grande poeta latino è espressa nei famosi versi dai Carmina, II, 6, vv. 5-8: "Tibur Argeo positum colono/sit meae sedes utinam senectae,/ sit modus lassus maris et viarum,/ militiaque" "Come vorrei che Tivoli, fondata dal colono argivo, fosse la dimora della mia vecchiaia, fosse il punto d'arrivo per me stanco di viaggi per terra e per mare, stanco di imprese militari".

Ma mi piace riportare soprattutto un'altra citazione minore quando parla di Pindaro come "cigno dirceo", cioè tebano, in un passo Carmina IV, 25-32, in cui è nominata naturalmente anche la nostra città: "Multa Dircaeum levat aura cycnum, /tendit, Antoni, quotiens in altos/nubium tractus: ego apis Matinae/more modoque/grata carpentis thyma per laborem/plurimum, circa nemus uvidique/Tiburis ripas operosa parvus/carmina fingo". "Un soffio intenso sostiene il cigno di Dirce,/quando vola, Antonio, verso l'alta distesa/delle nubi. Io, per tradizione di stile, /sono l'ape del Monte Matino,/che sugge, nei boschi e lungo le rive umide/di Tivoli, il dolce timo con la fatica/di sempre e così nei miei limiti compongo/un canto laborioso". Ancora un elogio della frutta tiburtina nei Sermones II, 4: "I pomi di Tivoli sono secondi solo a quelli piceni per succo". Ancora Orazio nei Carmina I, 18 scrive a Varo che il vino, preso in modeste quantità, suscita allegria, mentre assunto in quantità smodate, suscita rissosità: "O Varo, non seminerai nessun albero prima della sacra vite / nel mite suolo di Tivoli e presso le mura di Catillo".

La "sacra vite" che permetteva di produrre il famoso vino tiburtino, che come nota il romano Galeno, uno dei padri della medicina, nel commento 3 all'opera di Ippocrate De ratione victus in Morbis Acutis, come anche nel Methodus medendi, XII,4 "Tra i vini di questo tipo i migliori sono il Sorrentino, quello di Segni, il Sabino, il Tiburtino, il Marsico, sicuramente tutti quelli italici e asprigni, non tuttavia allo stesso modo: infatti il vino di Sorrento, benché sia modestamente asprigno, tuttavia è più caldo degli altri e più gradevole; dopo di lui il nobile vino di Tivoli;[c'è pure un altro tipo di vino di Tivoli più leggero], che, come il Sabino, può essere lievemente astringente etc". Infine l'altra celebre citazione che nominando il tempio di Albunea ci porta senza dubbio a stabilire che il tempio sull'acropoli fosse proprio dedicato alla Sibilla Albunea e (forse) quello quadrangolare a fianco proprio a Tiburno, nei. Carmina I, 7, v. 12 sg.: "me nec tam patiens Lacedaemon/nec tam Larisae percussit campus opimae,/quam domus Albuneae resonantis/et praeceps Anio ac Tiburni lucus et uda/mobilibus pomaria rivis." "Io no, non mi commuovono l'austerità di Sparta,/le campagne lussureggianti di Larissa,/ma gli echi che a Tivoli animano/ il tempio di Albunea, il bosco di Tiburno,/ la cascata dell'Aniene e i frutteti/irrorati dal fluire dell'acqua."

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