"Il tempio di Vesta a Tivoli" di Carl Morgenstern

a cura di Roberto Borgia

Come scrisse Filippo Alessandro Sebastiani nel suo Viaggio a Tivoli antichissima città latino-sabina fatto nel 1825, pubblicato nel 1828, «il tanto celebrato tempio Tiburtino di Vesta, erroneamente chiamato della Sibilla, che per gli Antiquarj è quasi lo scopo principale del viaggio a Tivoli, meritava il primo luogo in queste mie Lettere, come lo fu il primo a presentarsi ai miei sguardi, ed a riscuotere la mia ammirazione ... Questo importantissimo monumento, uno dei più belli avanzi, che restino ne' contorni di Roma degli antichi tempj, o se ne consideri la costruzione, o l'architettura sta piantato in un sito deliziosissimo nel confine della città verso Levante, sul ciglio della rupe, che soprastà alla voragine, ove precipitava l'Aniene ne' tempi antichi». Perciò il Tempio di Vesta o della Sibilla era "quasi lo scopo principale del viaggio a Tivoli" per artisti e amanti del bello. Non poteva perciò sfuggire, proprio all'incirca nel periodo in cui scriveva il Sebastiani, questo simbolo di Tivoli all'attenzione del pittore paesaggista tedesco Carl Morgenstern, nato e morto a Francoforte sul Meno, 1811-1893, figlio d'arte in quanto il genitore Johann Friedrich era già un pittore di architetture e paesaggi, nonché valente incisore.


Ingrandisce foto Il tempio di Vesta a Tivoli

La composizione in questo caso è spettacolare nella sua semplicità: "Il Tempio di Vesta a Tivoli", olio su tela, 1837, opera non in mostra e che presentiamo grazie alla cortesia dello Städelsches Kunstinstitut di Francoforte sul Meno, dove viene conservata. L'assenza di personaggi, pur presenti in altre composizioni dell'artista, rende l'atmosfera magica e tutto il panorama sembra come sospeso. Il tempio ricorda gli splendori di un'epoca ormai passata, sullo sfondo appena accennati il convento di S, Antonio da Padova e il monastero già dei monaci olivetani, costruito sui resti di una supposta villa del poeta latino Catullo. Nel dipinto l'artista ha voluto rappresentare la massa d'acqua del fiume Aniene che precipita dai cunicoli gregoriani, inaugurati proprio all'epoca, nel 1835, e che tanto avevano cambiato il panorama della città. Voglio sottolineare la precisione dell'artista anche nel rappresentare le sostruzioni che sorreggono la platea su cui era stato edificato il cosiddetto Tempio di Vesta o della Sibilla. Perché i nostri antenati si presero la briga di costruire una platea artificiale in un punto difficilissimo, come quello, a picco sul baratro, per ospitare il tempio rotondo? Ci viene naturalmente subito in mente lo storico latino Varrone, riportato da Lattanzio, che dice che, a seguito di una forte inondazione dell'Aniene, la statua della Sibilla Tiburtina fu ritrovata tra i gorghi del fiume, con il Libro Sibillino, stretto al seno.

Niente di più semplice: i nostri antenati vollero ricostruire il Tempio, dedicato alla Sibilla, laddove esso era crollato, impiantando una platea, retta da sostruzioni, che, per fortuna, nonostante tutte le vicissitudini, reggono ancora. Ad un certo punto gli ambienti sottostanti il tempio dovettero essere chiusi, perché gli abitanti si erano dedicati a scavare, pensando a chissà quali tesori sotto il tempio rotondo, minacciando di far crollare tutta la costruzione!

Ma facciamoci aiutare ancora nella descrizione dal Sebastiani: «Dapprima il luogo fu il Siculetum, o Sicelion ricordato da Dionigi d'Alicarnasso, quindi l'arx tiburtina, munitissima per natura, nome che conserva tuttavia, chiamandosi avvicendevolmente Castro-vetere, e Cittadella. E poiché la rupe non presentava un'area bastevole innanzi all'ingresso del tempio, si costruì una forte sostruzione di muri, e volte, che, come dissi altrove, ora è in parte caduta. Il tempio è sferico, e della classe dei peripteri, composto di cella, e di peristilio con dieciotto colonne, delle quali esistono sole dieci, sette isolate, e tre rinchiuse per due terzi in un muro moderno. L'ordine di esso generalmente s'ha per corintio, ma io giudico, che abbia a considerarsi piuttosto per un composito, stantechè nelle proporzioni, e forme de' modani non si è punto seguita la norma comunemente pratticata in quell'ordine, ma si è anzi sodisfatto al capriccio, o genio particolare, per cui le variazioni sono di rimarco, e commendevoli. L'opera esterna del tempio, come ho detto, è tutta di pietra tiburtina (travertino) intonacata di uno stucco fortissimo, e si deve incontrastabilmente attribuire al secolo aureo di Augusto; infatti il lavoro non può essere né più bello, né di maggior proporzione, per cui questo tempietto è tanto celebre, e rinomato appò coloro, che amano, e coltivano le belle arti, ed o voglia considerarsi come ruina, o come edificio, o come antichità, sarà sempre un oggetto gradito al Pittore, all'Architetto, ed all'Antiquario».
(giugno 2022)

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