"Veduta di Tivoli con le cascatelle e la villa di Mecenate" di Gaspar van Wittel

a cura di Roberto Borgia

C'è da piangere per la commozione di fronte a questa Veduta di Tivoli con le cascatelle e la villa di Mecenate, olio su tela, circa 1730, cm. 75 x 79, di Gaspar van Wittel (1652/1653-1736) (l'italianizzato Vanvitelli). Il dipinto fa parte di una collezione privata proveniente dalla collezione Cesare Lampronti di Roma, già nella Collezione Albani, ed abbiamo il privilegio di riprodurlo nella sua interezza: dico questo perché il dipinto, pezzo forte e logo della Mostra "Terra di miti, arte e cultura in Provincia dal Cinquecento al Settecento", svoltasi nel Vittoriano a Roma dal 22 marzo al 24 aprile 2005, è stato pubblicato nella copertina del Catalogo edito da Gangemi Editore in Roma con la T di Terra a coprire parte del dipinto stesso e poi riprodotto nell'interno solo a metà; un'occasione perciò questa per gustare il dipinto, grazie al proprietario che, per fortuna, ha evitato che anche questa tela prendesse la strada d'oltre oceano, dopo essere stata esposta nel 2003 nella famosa Mostra "Gaspare Vanvitelli e le origini del vedutismo", prima a Roma e poi a Venezia. Allievo ad Utrecht di Mathias Withoos (1627-1703), pittore di fiori ed animali, Gaspar van Wittel nel 1674 appena ventenne arrivò a Roma e lavorò come illustratore con una cinquantina di vedute topografiche per Cornelius Meyer, un ingegnere idraulico olandese che stava studiando la possibilità di rendere navigabile il Tevere da Perugia a Roma.
Nel 1680 iniziò la sua attività di vedutista, allontanandosi dai suoi connazionali specializzati nella pittura di genere e nelle bambocciate, cominciando a dedicarsi alla veduta dal vero. In effetti operò una vera e propria rivoluzione, durante un secolo assai più interessato alle cose artificiali che alla realtà, riuscendo ad imporre un nuovo gusto che avrebbe aperto la strada alla veduta settecentesca.


Ingrandisce foto "Veduta di Tivoli con le cascatelle e la villa
di Mecenate" di Gaspar van Wittel

Pittore della "Roma Moderna", laddove i suoi connazionali avevano perso il loro mordente artistico nella stanca ripetizione di vedute agresti e rovine classiche, van Wittel ci ha lasciato la più straordinaria testimonianza della Roma seicentesca.
Eppure l'ambiente romano non fu l'unico ad attrarlo, nel suo vagabondare attraverso l'Italia: dipinse Tivoli (abbiamo pubblicato altre sue opere), Napoli, Bologna, Firenze, Verona, il Lago Maggiore ed infine Venezia dove il suo stile trovò terreno fertile per il futuro. Come altre sue opere la tela è straordinaria per la qualità della luce e per il nitore dei particolari, che lasciamo riconoscere ai nostri lettori! Non per nulla fu chiamato "Gaspare dagli occhiali" per l'uso che ne faceva per dipingere proprio le minuzie delle sue vedute.

Talvolta il meglio di una grande tradizione artistica si trova e si fonde con il meglio di una cultura ad essa lontana. È questo il caso di Vanvitelli che, come pochi altri autori, fu italiano e olandese insieme, van Wittel e Vanvitelli appunto. Solo poche altre parole: Tivoli appare nella sua magnificenza e nella sua ricchezza, città monumentale, agricola, di villeggiatura, con la sua posizione di dominio nella campagna romana.
Da notare l'aspetto industriale davanti al Santuario di Ercole Vincitore, creduto allora Villa di Mecenate, in quanto nel 1742 la nostra città, a partire dal bacino innanzi alla cascata, oltre a venti mole da grano e ventuno molini da olio, possedeva nove cartiere, sei concie e saponerie, nove ferriere e sette polveriere, tutte alimentate dai canali derivati dal fiume Aniene.
Da notare a Tivoli anche l'esistenza di una "valca", specie di mulino ad acqua destinato alla lavorazione e al lavaggio dei panni di lana, utilizzata talvolta anche come mola per la produzione di farina. L'origine di questo genere d'industria potrebbe essere addirittura di origine longobarda, dato che deriva il nome dal verbo "walkan", cioè "rotolare", riferito ai rulli che lavoravano i panni.


(marzo 2013)

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