"A scene in the Roman Campagna" di Jan Frans van Bloemen

a cura di Roberto Borgia

Nelle Mostra "Le bellezze di Tivoli nelle immagini e negli scritti del Grand Tour, che rimarrà aperta nel Museo della città di Tivoli in Piazza Campitelli fino al 31 ottobre 2017, è presente, per gentile concessione della Galleria 90 di Tivoli, l'opera Paesaggio di Tivoli con Tempio della Sibilla, secolo XVIII, olio su tela, di un seguace di Jan Frans van Bloemen, o Blommen o Bloms, detto L'Orizzonte o Orizonte (1662-1749). Figlio di Pieter, nacque ad Anversa il 12 maggio 1662 e fu battezzato nello stesso giorno secondo il rito cattolico nella cattedrale di Notre-Dame. Suoi fratelli, entrambi pittori, furono Pieter detto "Stendardo" (Anversa 1657-1720) e Norbert (Anversa 1670-Amsterdam 1746 circa), noto con il soprannome di "Cefalo". J. F. van Bloemen apparteneva ad una famiglia di pittori e disegnatori fiamminghi, attivi anche in Italia e Francia e fino a quindici anni fu allievo di suo fratello Pieter, poi per tre anni, di Antonio Goubau, pittore di Anversa, che spesso inserì i monumenti di Tivoli nei suoi quadri. Poi a diciotto anni intraprese un viaggio per la Francia, disegnando lungo la strada, rimanendo lungo tempo a Parigi e raggiungendo a Lione, intorno al 1684, suo fratello Pieter, che lavorava lì con il pittore olandese Adriaen van der Cabel (1631-1705).


Ingrandisce foto "A scene in the Roman Campagna"

I due fratelli si posero poi in cammino per l'Italia, sostando quattro mesi a Torino ove avrebbero avuto l'incoraggiamento di Vittorio Amedeo II. La loro presenza a Roma viene riscontrata per la prima volta nel 1688: erano dimoranti in via Capo le Case, ma già l'anno successivo passarono in via Margutta, nel centro dei "depentori fiamminghi". I due fratelli viaggiarono poi al seguito di un cavaliere olandese per otto mesi a Napoli, in Sicilia e a Malta.

Tornati a Roma, restarono nello studio di via Margutta, che era appartenuto a Claude di Lorrain, fino al 1693, anno in cui Pieter se ne rientrò in patria. Bloemen, frattanto divenuto celebre, si sistemò definitivamente a Roma sposando nella primavera del 1693 Mattea Rosa Barosini da Zagarolo, e dipinse "dal vero" vedute di Zagarolo per il duca Rospigliosi, di Vignanello per il principe Ruspoli e andava "a posta a Frascati, a Castello, in Albano, alla Riccia, a Gianzano, a Civita Lavinia, a Tivoli... e da per tutto e si fermò per prenderne in varie guise, e da varie parti e siti a disegnarli". Il 21 gennaio 1694 fu battezzata in S. Lorenzo in Lucina la figlia Giovanna, il cui padrino fu Gaspar van Wittel. Dal 1696 al 1708 la famiglia van Bloemen non è registrata negli Stati delle anime e questo lascerebbe pensare che si fosse stabilita a Zagarolo presso la famiglia della moglie. La ritroveremo a Roma nel 1709 dimorante in via Paolina (l'attuale via del Babuino), iscritta alla parrocchia di S. Maria del Popolo, con cinque figli (di cui due maschi) ai quali l'anno successivo se ne aggiungerà un altro.

Il pittore fiammingo è conosciuto anche con il soprannome di Orizzonte, per la facilità con cui dipingeva paesaggi e per l'ampia parte del cielo che inseriva nelle sue tele, soprannome che era stato precedentemente di Claude Lorrain. Fu affascinato dalla bellezza di Roma e dei suoi dintorni ed ispirato dai paesaggi classici di Gaspard Dughet. Avendo come base la tradizione paesaggistica fiamminga, non ebbe difficoltà ad assimilare il realismo analitico di Dughet e a divenire in breve uno dei migliori paesaggisti classici a Roma nella prima metà del XVIII secolo: anche i motivi mutevoli di luce ed ombra di van Bloemen sono caratteristici dell'opera di Dughet, tanto che talvolta i dipinti di Orizzonte erano scambiati per opere del Dughet.
Nel paesaggio "A scene in the Roman Campagna", olio su tela, cm. 67,7 x 93,3, circa 1736, collezione privata, troviamo tutti i motivi tipici dell'arte di van Bloemen: il paesaggio classico, la natura e il passaggio violento da luce ad ombra e viceversa.

Sembra proprio che l'artista abbia voluto condensare in questa tela gli elementi che spingevano i viaggiatori e gli artisti a recarsi nella città di Tivoli, dove trovavano l'orrido e il maestoso, tema di tutta la mostra su "Le bellezze di Tivoli". L'opera presenta vari elementi fusi insieme con sapiente maestria: innanzitutto la città di Tivoli sulla sinistra che occupa la prima diagonale da sinistra a destra, con gli elementi caratterizzanti dei due templi dell'acropoli, della Grotta di Nettuno, da cui fuoriesce la massa d'acqua che si butta nella pianura, la Torre di S. Caterina al Riserraglio e, all'estrema sinistra, la Porta S. Angelo che conduceva alla via di Quintiliolo da una parte e a Subiaco dall'altra.
Tutti questi elementi fanno da corollario alla seconda metà della tela, sempre in diagonale da sinistra a destra, dove l'elemento caratterizzante è il gioco di luci e ombre dato dal cielo in tempesta, con i fulmini evidenziati, uno dei quali provoca un incendio proprio a metà dell'intersecamento delle diagonali del quadro. Tutto questo studio geometrico di inquadratura sfugge però all'osservatore che è deliziato non solo da tutti gli elementi presenti nel paesaggio, ma dalla completezza dell'insieme stesso. Notevole maestria anche nel ritrarre gli alberi sulla destra che fanno da quinta a tutta l'opera.
Ma, come dicevo, quello che colpisce è il saggio dosaggio dei vari elementi (architettonici, paesaggistici, umani, atmosferici) di questa eccezionale "A scene in the Roman Campagna" (con tale denominazione è conosciuta l'opera), che sarebbe più logico battezzare come "Tivoli e la campagna romana".

(ottobre 2017)

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