Torre di S.Eusebio

a cura di Fabio Proietti

Il casale di S. Eusebio (anche noto come torre di S. Eusebio) si trova all'incirca un chilometro a Sud del tredicesimo chilometro della via Tiburtina attuale. Esso è posto su uno sperone tufaceo di una quarantina di metri di altitudine che sovrasta un'ansa del fiume Aniene, in posizione dominante rispetto al circondario, e la sua alta torre si riconosce a distanza dall'odierno Grande Raccordo Anulare; tutta la sommità dell'altura è cinta inoltre da un potente muro in blocchi di tufo.
Si deve a Jean Coste la corretta identificazione del casale, che per lungo tempo è stato confuso con il vicino casale (o torre) dei Gallicano e con quello delle monache di S. Maria in Campo Marzio; tale confusione risale a Thomas Ashby, che nella sua importante spiegazione della carta di Eufrosino della Volpaia del 1547 interpretò erroneamente i disegni.
Il primo documento relativo al casale è un atto di vendita del 1289 con cui i Papazzurri (famiglia di quella élite aristocratica romana che era composta da mercanti - i romani mercatores - e dall'aristocrazia senatoria del Comune capitolino) vendono il casale allora definito de Bulagariis al convento romano dei Celestini di S. Eusebio, dei quali conserverà il nome; nei secoli XVI-XVII la proprietà passerà alla famiglia Cesi, divenendo parte della enorme tenuta di Marco Simone, ed infine dalla fine del XVII e ancora nel XIX al Principe Borghese. Attualmente fa parte di una proprietà privata.

Torre di S.Eusebio
Ingrandisce foto Torre di S.Eusebio - Foto di F.Proietti

L'elemento di spicco del complesso è indubbiamente l'alta torre (circa 26 m.): essa presenta alla base un grosso zoccolo di lastroni di travertino di reimpiego (probabilmente provenienti da una villa o un sepolcro romano dei dintorni), mentre l'alzato è costituito da una muratura in blocchetti di tufo rosso (i cosiddetti "tufelli") pressoché completamente a vista, con diversi interventi di restauro tra cui particolarmente evidente quello in laterizi sui lati S ed E. La torre presenta feritoie ai piani inferiori, finestre con cornice in travertino a quelli superiori ed un apparato a sporgere con merlatura "guelfa" (cioè quadrata); nella muratura in tufelli si riconoscono molte delle buche pontaie utilizzate dai ponteggi di costruzione.

Mentre la torre principale presenta solo pochi residui di intonaco, il resto del casale, sia per quanto riguarda i corpi di fabbrica antichi che quelli attuali, si presenta invece completamente rivestito, fatta eccezione per alcuni risparmi che lasciano vedere le murature sottostanti.
Il casale è dotato di una seconda torre, di altezza minore, anch'essa intonacata tranne che per alcuni risparmi che mostrano una muratura in tufelli molto simile a quella della torre principale; le due torri sono unite da un corpo di fabbrica intermedio, in cui le aree risparmiate dall'intonacatura attuale mostrano gli archetti delle finestre in laterizi e porzioni di murature a tufelli. In una di esse si riconosce la sagoma di un merlo "ghibellino" (cioè a coda di rondine, realizzato nella tecnica a tufelli regolari di tufo rosso), cui si appoggia un rialzamento successivo con una muratura ancora perlopiù in tufelli ma meno regolare e frammista a materiali più eterogenei.
Alle spalle delle strutture suddette troviamo il grande corpo di fabbrica principale (la domus), in cui, sui tre lati esposti, gli intonaci di rivestimento lasciano a vista (oltre agli archetti in laterizio delle aperture) porzioni di murature con corsi regolari di tufelli rossi o di tufelli più misti, appartenenti comunque alla fase originaria del casale; in diversi punti si possono riconoscere le buche pontaie. Nella parte alta invece si vedono murature listate con blocchi di tufo e laterizi appartenenti a restauri databili tra XIX e inizio XX secolo.


Porzione del redimen - Foto di F.Proietti

Dall'analisi delle murature è possibile collocare la costruzione del casale attorno al secondo quarto del XIII secolo, ormai nella fase piena del fenomeno dell'"incasalamento" della Campagna Romana; i creatori del casale de Bulagariis - non sappiamo se già la famiglia dei Papazzurri che lo vendette alla fine del secolo - costruirono allora l'alta torre, collegata alla seconda da un corpo mediano merlato, e la grande domus; poi in un secondo momento (probabilmente dopo la vendita ai Celestini di S. Eusebio) il corpo di fabbrica tra le due torri fu rialzato. L'aspetto attuale si deve ai restauri che dovettero quasi ricostruire il complesso tra il XIX e il XX secolo, come testimoniano foto e rilievi effettuati precedentemente all'intonacatura e al restauro attuale (di fine XX secolo).

Il perimetro dell'altura che ospita il casale di S. Eusebio, come accennavamo, si presenta protetto da un potente muro in grossi blocchi di tufo, probabilmente anche essi di reimpiego da strutture antiche; tale muro (o redimen, come lo definiscono i documenti medievali) è riconoscibile a S, sull'orlo della parete tufacea a picco sull'Aniene, e più agevolmente si può osservare alla base degli edifici nella parte N-W del pianoro e soprattutto nel lungo tratto (35 m. circa) con orientamento N-S che arriva fino al precipizio sul fiume, utilizzato ancora oggi come muro perimetrale tra due proprietà private.
Esso si presenta costituito da una muratura in grossi blocchi di tufo rossiccio, molto alterato in superficie, con corsi orizzontali o quasi e con utilizzo di spessi giunti di malta tra un blocco e l'altro; i grossi blocchi hanno lunghezza variabile ed altezza di circa 50 cm nella parte inferiore e minore in quella superiore, e sono riconoscibili qua e là i segni del riutilizzo dei blocchi stessi. Questa tipologia muraria - anche se non se ne può dare una datazione certa - sembra poter essere ricollegata alla "opera quadrata di reimpiego" diffusa nell'area romana in epoca carolingia e oltre (all'incirca a partire dalla fine dell'VIII secolo ma forse ancora nel X-XI): in questo caso si tratterebbe di un'opera di fortificazione dell'altura di molto precedente al casale stesso, forse appartenente a uno dei centri di gestione del territorio che le fonti collocano in questa zona (domuscultae, massae o curtes di proprietà di vari enti ecclesiastici romani). Anche questo redimen comunque dovette essere interessato da alcuni interventi di restauro nei secoli seguenti.

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