Non molto si sa invece sulle vicende storiche di Tivoli comprese tra il VII ed il IX secolo durante il dominio dei Longobardi (569-774) ed in quello successivo dei Franchi.
Sul finire del IX sec. venne eletto un secondo Papa tiburtino: Giovanni IX (898-900) che dovette lottare sia per aiutare le popolazioni che per combattere le fazioni che a Roma si contendevano il primato coinvolgendo la stessa autorità pontificia.
Agli inizi del X sec. Tivoli integrò la difesa delle mura con case-torri per fronteggiare il pericolo delle incursioni saracene che si erano spinte persino nella Valle dell'Aniene (Anticoli, Ciciliano). Un documento del 945 attesta che Tivoli in quel tempo era retta da un duca, emanazione del Ducato romano che fin dal VIII sec. si era reso indipendente dal dominio bizantino.


Ingrandisce foto Casa torre in Piazza delle Erbe

Per far fronte alla difesa la città era organizzata in gruppi militari corrispondenti a quattro contrade (Plazzula, Castrovetere, Foro e Fornello) guidate da un rettore; i proprietari delle case-torri avevano il titolo di miles e dovevano difendere le mura, il clero doveva fortificare le aree prossime alle chiese, il popolo in caso di necessità doveva combattere, i coloni venivano organizzati in milizia rurale (Homines S.Laurentii cioè "uomini di S.Lorenzo").

Tre erano le classi sociali: clero, nobili o militi, popolo. Erano state istituite le associazioni di arti e mestieri rette da magistri. L'autorità del vescovo, malgrado il papato fosse in crisi morale e fosse debole, fu ancora forte, capace di contrapporsi al conte. Il territorio posseduto dal vescovato tiburtino era enorme ed andava da Settecamini a Subiaco, a Palombara.

Le lotte per il potere a Roma coinvolsero anche Tivoli: Marozia, figlia del senatore Teofilatto, dominò la Roma papale sposandosi prima con Alberico I marchese di Spoleto, poi con Guido marchese di Toscana ed infine con Ugo di Provenza, re d'Italia. Stroncato il tentativo di ribellione di papa Giovanni X, che fu assassinato (928), impose sul trono papale sue creature: Leone VI, Stefano VII, il figlio Giovanni XI. Fu poi cacciata e messa in custodia insieme al suo predetto figlio, pontefice Giovanni XI, dal figlio di primo letto Alberico II, vero padrone di Roma e dello Stato della Chiesa in quanto comandava le forze militari pontificie e si occupava di politica esterna sventando il tentativo del terzo marito della madre, lo straniero Ugo di Provenza, di rientrare a Roma.


Ingrandisce foto Facciata del Santuario di Quintiliolo

Alberico II influenzò fino al 954 i quattro papi subentrati al fratello Giovanni XI (Leone VII, Stefano VIII, Agapito II), impedì l'incoronazione imperiale di Ottone I, favorì la riforma monastica appoggiando Oddone di Cluny, ottenne dall'aristocrazia romana la promessa che suo figlio Ottaviano sarebbe diventato Papa (954). Donando la terra ai monaci Alberico allargò la cerchia dei suoi sostenitori; così avvenne per il monastero sublacense al quale dal papa Leone VII aveva fatto regalare il castello di Subiaco (appartenente alla diocesi tiburtina) allo scopo di crearsi un folto gruppo di fedeli sulla via Valeria.

Tivoli dovette ingoiare questa ed altre imposizioni tra cui il controllo sul santuario di Quintiliolo che per volontà di Alberico passò sotto il controllo dell'abate sublacense. Quando Ottone I decise di deporre il figlio di Alberico (che era stato fatto papa col nome di Giovanni XII a sedici anni con l'aiuto dalla nobiltà romana) il vescovo tiburtino Giovanni, sostenuto dalla popolazione di Tibur, ricorse al sinodo indetto dall'imperatore per ottenere la restituzione dei beni sottratti alla chiesa tiburtina a vantaggio del monastero di Subiaco.
A Roma però la lotta per il potere, morto nel 954 Alberico, continuò tra le famiglie nobili; vinsero i Crescenzi con l'elezione al pontificato di Giovanni XIII ed attuarono il piano politico di Alberico. Le città intorno a Roma divennero feudi delle famiglie dominatrici; l'amministrazione di Tivoli, anch'essa infeudata, fu affidata a Graziano, rappresentante del Papa e parente dei Crescenzi. Con Graziano cooperò il vescovo di Tivoli, Amicone, che continuò l'opera di spoliazione della città a vantaggio del monastero sublacense.

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